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25 aprile: perché canto ‘Bella Ciao’

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Mio padre, il 25 aprile, si preparava e si avviava verso la manifestazione. Mia madre, a casa, si occupava di me e mio fratello e preparava il pranzo per il nostro picnic. Quel giorno era una festa. Dopo la manifestazione, con il resto della famiglia, una banda di zii, zie e cugini, andavamo in qualche prato a passare la giornata. E a imparare “Bella Ciao“. Mia zia Elena, ogni volta, aveva gli occhi di lacrime, e alla fine tutti salutavano con il pugno alzato. 

Crescendo, mio fratello mia madre ed io, ci siamo uniti a  mio padre alla manifestazione. Abbiamo saputo di avere uno zio partigiano. Abbiamo saputo dell’orrore fascista, alleato dell’orrore nazista. Abbiamo saputo dei campi. Di Auschwitz. Del gas. E di ebrei, gay, zingari, deportati e dispersi come rifiuti nell’aberrazione dei lager. E abbiamo saputo dei partigiani che ci hanno ridato dignità, quella che “l’uomo forte”, Mussolini, che a differenza di Hitler odiava l’umanità senza nemmeno sapere perché, ci aveva drammaticamente tolto.

Abbiamo imparato che la memoria è la nostra salvezza. La memoria e la commemorazione di quegli eventi; il rispetto inossidabile dovuto a quei ricordi; la riconoscenza eterna che dobbiamo a quelle donne e quegli uomini che ci hanno liberato.

Nessuno tocchi quei ricordi. Nessuno osi “parafrasare”, infangare, sminuire, dubitare quella storia. Nessuno usi Primo Levi. Chi lo fa è sciatto e senza memoria. E quello è un pericolo. Più grande di tutti. Perché purtroppo noi siamo popolo senza memoria, popolo che ama “l’uomo forte”, quello che alza la voce e sbatte i pugni e infanga il Parlamento e la democrazia in sé stessa, pur utilizzandola. Come fece Mussolini.

Che si insegni ai bambini la nostra storia. Che gli si insegni a cantare “Bella Ciao” perché  non è una canzone di comunisti o “politica” ma una canzone di libertà, vale a dire il valore più alto di un popolo e al quale noi troppo spesso e troppo facilmente abdichiamo per correre dietro alle promesse “rivoluzionare” del primo venuto, di quello che alza di più la voce e ti dice che “tanto sono tutti uguali, tranne me”. 

Io oggi canto “Bella Ciao” perché voglio ricordare, per andare avanti. Per non rischiare di tornare indietro. Nel baratro.

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