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Jobs act: tanti contratti, poco lavoro

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Cosa accade quando si liberalizzano i contratti a tempo determinato come nel decreto sul lavoro appena varato, come primo atto del Governo Renzi? L’esperienza della Spagna è molto utile a riguardo. Nel 1984 il governo spagnolo liberalizzò i contratti a tempo determinato eliminando il requisito che l’attività svolta nell’ambito di questo contratto dovesse avere natura temporanea e rendendo ammissibili ripetute proroghe dello stesso contratto.

Un recente studio di Garcia-Perez, Ioana Marinescu e Judit Vall Castello analizza gli effetti di queste riforme. Si possono così riassumere: una vita lavorativa con più contratti temporanei, meno giorni di lavoro all’anno e salari più bassi.

I grafici qua sotto, tratti dallo studio, analizzano la situazione prima e dopo la riforma. Vanno letti comparando i punti vicino alla retta verticale che denota se l’individuo è stato affetto o meno dalla riforma. Il primo grafico mostra come le persone entrate nel mercato del lavoro nel 1985, dopo la riforma (parte destra del grafico), hanno avuto nell’arco di 15 anni un contratto a tempo determinato in più rispetto agli individui entrati prima della riforma (parte sinistra del grafico).  

(Nota: numero medio di contratti accumulati in base all’anno di nascita)

Più contratti non significa più lavoro. Le persone entrate nel mercato del lavoro dopo la riforma hanno lavorato, a parità di altre condizioni, 313 giorni in meno nell’arco di 15 anni (21 giorni in meno all’anno).
Questo il messaggio del grafico qui sotto che mostra sull’asse verticale le ore lavorate. In sintesi, quindi, più contratti di più breve durata di prima.

 (Nota: numero medio di giorni lavorati accumulati in base all’anno di nascita)

Tutto questo avviene perché le persone perdono più spesso il lavoro e passano da un contratto all’altro.

I grafici qui sotto guardano proprio al numero di episodi di disoccupazione e occcupazione. Aumentano entrambi, il che significa che la carriera dei temporales è ancora di più sull’ottovolante con frequenti  passaggi dall’occupazione alla disoccupazione e viceversa.

 

(Nota: numero medio di periodi passati in occupazione e disoccupazione  in base all’anno di nascita)

Infine quali effetti sui salari? Come mostra l’ultimo grafico, gli individui che sono entrati nel mercato del lavoro spagnolo dopo la riforma (parte destra del grafico) soffrono una riduzione delle retribuzioni dell’11,8%.  E solo l’8% di questa perdita può essere associata alla diminuzione precedentemente illustrata di giorni di lavoro. La riforma ha quindi ridotto i salari orari, aumentando il divario fra contratti a tempo determinato e indeterminato. 

(Nota: numero medio di mensilità accumulate in base all’anno di nascita)

 (*) Non c’è alcuna variabile che influenza i due campioni del 1967 e del 1969 a parte la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato. Il contratto a tempo determinato dopo la riforma può avere una durata minima di 6 mesi e massima di 3 anni. Al termine di questo il lavoratore può essere assunto con contratto a tempo indeterminato oppure licenziato. Non viene invece modificata la legislazione per i contratti a tempo indeterminato.  La proporzione dei lavoratori con contratto a tempo determinato in Spagna passa dal 10% degli anni ‘80 al 30% dei primi anni ’90.

di , 28.03.14, lavoce.info 

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