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Lucignolo, stereotipi contro la violenza di genere?

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Leggo del programma di Italia 1, Lucignolo, che organizza delle liti simulate con degli attori, mettendo alla prova le reazioni degli ignari passanti. C’è un lui che aggredisce una lei con grida, urla e strattonamenti e sempre un lui che scippa una lei e prova a scappare. Il “gioco” si chiama prova dell’indifferenza. Recentemente la trasmissione è stata a Firenze e la città di Dante supera a pieni voti il test. Rispetto ad altre città, in cui Lucignolo ha portato la prova dell’indifferenza, i fiorentini sono stati molto più pronti nell’agire e nell’arginare le violenze e lo scippo.

Non mi piace l’idea di  spettacolarizzare la violenza di genere, ne ho scritto più volte, a mio parere, ci porta sempre poco lontano e può essere dannosa, anche se certamente la cosa ha il suo ritorno in termini di telespettatori. Per qualsiasi trasmissione televisiva è l’audience il parametro del successo, ma la qualità del prodotto non si misura dal numero di telespettatori, ma dal ritorno in termini di reale comprensione di quel che si vuole portare sullo schermo.

Trovo il video girato a Firenze e lo guardo, ma non noto solo la solidarietà ed il coraggio dei passanti di cui parla l’articolo che ho letto, ma sostanzialmente vedo uomini  pronti ad usare la  stessa violenza di cui sono spettatori per difendere un soggetto considerato a prescindere debole che ancora una volta è sempre una donna. Donna vittima e  uomo carnefice oppure eroe della situazione, non si sfugge. Sono intervenute anche delle donne durante la lite pubblica, ma, anche se l’atteggiamento è stato fermo, forte e deciso, non c’era sfida o pose e linguaggio da “giustiziere della notte”. Difendevano una di loro senza il machismo che contraddistingue noi uomini e che nel video straborda da ogni espressione e atteggiamento.

Il messaggio dato all’attore dai passanti intervenuti  è quasi sempre stato: “sei un uomo e lei è una donna, quindi non puoi picchiarla, è il sesso debole, noi siamo il sesso forte”.

Immagino non sia semplice trovarsi ad assistere in strada ad un uomo che minaccia e picchia una donna, bene che qualcuno intervenga ovviamente (se c’è bisogno di telecamere significa che non lo si dà per scontato), ma molti stereotipi presenti sono passati completamente inosservati.

Un signore che interviene nella lite dice all’attore che lo invita a farsi gli affari propri: “Io mi faccio gli affari miei, io difendo una donna! Una donna! Lo sa cos’è una donna lei?”
Già cosa è una donna? Ma soprattutto chi è?

L’ espressione di quel signore, in varie forme, la ritrovo in tantissimi atteggiamenti del maschile nei quali ci arroghiamo il diritto di sapere cosa sia o non sia una donna e cosa debba o non debba fare. E noi? Un uomo! Lo sappiamo noi cos’è un uomo? Ma soprattutto chi è?

Dice bene la voce ad inizio filmato, abbiamo un’attrice nella parte della vittima e un attore nel ruolo del violento, parti e ruoli diventano sostanza, non riconoscendovi la costruzione sociale culturale da cui nascono. L’era dell’apparenza tutto inverte e tutto trasforma.

La finzione prende il posto della realtà depotenziandola perché sia fruibile sul piccolo schermo, ma rendendo evidente che chi vorrebbe mettere alla prova viene messo alla prova lui stesso dal meccanismo che ha messo in moto e il risultato non si discosta poi troppo da quello che condanniamo come, tante volte, invece pensiamo.

 

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