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Ilaria Alpi – Miran Hrovatin, la Somalia vent’anni dopo

Era il 1992 quando 2000 militari italiani vennero inviati in Somalia. La missione prese il nome di “Restore Hope”. La storia dell’Italia in quel tratto del Corno d’Africa ha assunto da allora diversi risvolti. La battaglia di Mogadiscio e il ritiro del contingente americano segnarono il primo tentativo di qaidizzare la Somalia da parte degli estremisti islamici. Da allora la Somalia è diventato prima un paese in preda alle corti islamiche ed oggi un territorio ancora instabile ma in miglioramento soprattutto grazie allo sforzo della comunità internazionale.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con la risoluzione 2093 del 6 marzo 2013, ha abolito la quasi totalità delle restrizioni relative alla possibilità di vendere armi alla Somalia, consentendo al paese (o meglio ai suoi donatori) di poter acquisire armamenti più moderni e funzionali alle esigenze di gestione della sicurezza e della lotta alla criminalità. La Somalia ha anche aderito alla Convenzione per la proibizione delle armi chimiche, diventando il 189° firmatario del documento e compiendo un ulteriore passo verso il reinserimento a pieno titolo del paese nella comunità internazionale. Dal 2 giugno del 2013 gli italiani sono tornati in Somalia con una nuova missione europea attualmente guidata proprio dall’Italia. 23 nostri militari si sono trasferiti dalla base di Gibuti, una missione utile a contribuire all’addestramento delle forze di sicurezza somale, denominata European Union Training Mission (EUTM Somalia).

Al Shabaab ha perso nel tempo gran parte del suo potere mirando oggi più ad azioni di saccheggio che di conquista del territorio come succedeva in passato quando addirittura si spingeva nella zona dei Grandi Laghi in cerca di jihadisti stranieri pronti a fornire delle basi per preparare operazioni di guerriglia. Inoltre Al Shabaab vive di un conflitto interno, condito da una vera e propria scissione che ha portato a delle rappresaglie. Resta il problema enorme dei rifiuti tossici scaricati lungo la costa somala parzialmente distrutta. Soprattutto in passato molte azioni dei pirati contro navi straniere avevano come unico obiettivo quello di arrestare il dumping dei rifiuti tossici. Così la popolazione somala aveva più rispetto delle navi dei pirati che di quelle che sversavano di tutto causando un aumento di malattie e una contaminazione delle acque a largo della costa

Ma la vera risorsa della Somalia resta un’altra: il petrolio. Quando i marines sbarcarono nel 1992 portarono dietro di sé un gruppo di geologi per delle esplorazioni. Da allora si è scoperto che la Somalia galleggia sul petrolio, che per gli Usa è un vantaggio che il governo resti instabile e che soprattutto non venda le sue potenzialità petrolifere e minerarie ad altri concorrenti come Cina e India. Dal 1992 ad oggi le esplorazioni sono continuate fino ad arrivare alla scoperta del più grande giacimento: quello di Puntland. Chissà se l’Italia possa avere ancora un ruolo determinante nel Corno D’Africa e fare da capofila per una politica europea ancora poca attenta alla partita geopolitica che si sta giocando da anni nell’Oceano Indiano.