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L’asta delle frequenze: molta propaganda per nulla?

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Parte l’asta delle frequenze, vedremo come andrà a finire e se le sue modalità soddisferanno le obiezioni della Commissione Europea. In particolare, si tratterà di capire se Bruxelles chiuderà la procedura di infrazione tuttora aperta nei confronti dell’Italia a causa della legge Gasparri. Intanto alcune considerazioni possono essere già fatte.

La prima riguarda la modalità di comunicazione dell’evento. Si dice che i maggiori gruppi televisivi, Rai e Mediaset in primis, resteranno fuori. E già, come se questo fosse un successo per qualcuno, una seria battaglia contro l’assente concorrenza del settore. Sia Rai che Mediaset hanno già 5 mux ciascuno, cioè una marea di frequenze disponibili. Grazie al rapporto di conversione riconosciuto nel passaggio dall’analogico al digitale, a ciascuna delle loro reti sono state riconosciute almeno 4 frequenze nazionali (rapporto a suo tempo fortemente contestato che ha costituito un unicum a livello mondiale). Così entrambe le emittenti hanno potuto concentrare su di loro le scarse risorse dell’etere, con qualche vantaggio in più per Mediaset. Per di più, nessuno ha detto che al quinto mux Mediaset è recentemente arrivata trasformando, proprio in corso di predisposizione della gara, il mux originariamente assegnatole per il DVBH (TV sui telefonini).

La seconda considerazione riguarda la qualità delle stesse frequenze. Queste ultime non sono tutte uguali, ci sono quelle “buone”, cioè quelle che non subiscono interferenze, e quelle cattive, spesso ancora da coordinare con altri servizi e i paesi confinanti. Quali sono le migliori? La risposta é scontata, basta andare a verificare.

La terza considerazione riguarda il tempo. Dal 2009 solo ora si arriva alla gara. Quindi con grande ritardo. Prima dovevano essere 5 reti nazionali, ora sono diventate 3. L’interesse alla gara, anche per il sopravanzare della TV sul web, si è via via ridotto e anche per l’erario non c’è da aspettarsi travolgenti guadagni. Infine, ultima considerazione. Se le risorse economiche del mercato a cui dovrebbero accedere gli operatori che vincono la gara è così concentrato (soprattutto quello della raccolta pubblicitaria) c’è poco da sperare. In questi anni, oltre alla commedia delle frequenze é infatti andato in scena il monumentale conflitto di interessi che ha impedito al sistema televisivo di veder comparire plausibili concorrenti (caso La7 docet).

 

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