La notizia è questa: la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe dichiarato l’illegittimità del canone Rai. Quando rifletto su questa diceria, a fatica riesco a esprimere le emozioni che mi afferrano: canone illegittimo non suona come canone morto?

Melville si starà girando nella tomba per la mia maldestra parafrasi. Lo so, ma ciò che ho provato sfogliando i giornali è molto simile al sentimento che ispirano le pagine di Bartleby lo scrivano. Io ho creduto di non dover più pagare il canone Rai. Penso di aver condiviso questa… speranza con qualche milione di contribuenti italiani, se è vero che tra gli innumerevoli balzelli che allietano le nostre giornate il canone Rai è il meno amato.

A cavallo dell’Epifania qualche sadico infingardo ci ha preparato un ingegnoso saltafosso, indicando non soltanto il giudice (la Corte europea dei diritti dell’uomo, per i più misteriosa entità che opera in quel di Strasburgo) ma anche la data di deposito della pronuncia (30 dicembre 2013): noi, con la mente ancora ottenebrata dai pasti luculliani delle feste natalizie, ci siamo cascati con tutti i piedi e abbiamo iniziato a sbiascicare “Aridatece i sordi!”. Passate le feste e riaperti gli uffici, l’Agenzia delle Entrate ci ha svegliato da questo bel sogno. La notizia è “falsa e destituita di ogni fondamento – recita spietato il comunicato stampa dell’8 gennaio – […] al contrario, la Corte si è pronunciata affermando la legittimità del canone Rai […]. Tutti i possessori di un apparecchio […] sono tenuti al pagamento del Canone entro il 31 gennaio 2014 […] e, in caso di inottemperanza, saranno applicate le sanzioni previste dalla Legge”. Fine.

Fine? Lo dite così? Con 8 righe striminzite? Le soluzioni semplici non appartengono alla materia fiscale: lo ammettono persino gli strani esseri che – per una insana ed inspiegabile perversione – se ne occupano e si fanno chiamare “tributaristi”. Le vicende europee del canone Rai non fanno eccezione a questa regola.

Una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo sul canone Rai in realtà esiste. Risale al 2009. A differenza di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, non ha affermato la “piena legittimità” del canone Rai, ma ha soltanto ritenuto ragionevole l’apposizione dei sigilli all’apparecchio televisivo qualora non si voglia più usufruire del servizio televisivo ma si continui a detenere il televisore: questa misura rappresenta una ingerenza nel diritto del contribuente a ricevere informazioni e al rispetto della sua vita privata ma è giustificata dallo scopo legittimo di ostacolare l’evasione.

Sul canone Rai pende in realtà un’altra spada di Damocle. Per iniziativa di un europarlamentare leghista e di un comitato vicentino è stata promossa una petizione al Parlamento europeo al fine di ottenere l’abolizione del canone Rai e l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia. L’esame della petizione sarà ripreso durante il mese di marzo: alla riunione è stato invitato anche il presidente della Commissione per la vigilanza Rai. Interpellata nel corso della procedura, la Commissione europea si è espressa a favore della debenza del canone Rai, confermando che il tributo non altera i meccanismi concorrenziali del mercato comune perché, costituendo soltanto il 50% degli introiti annuali della società, si limita a finanziare “gli obblighi di servizio pubblico chiaramente definiti che le sono stati affidati”.

La giustificazione di questo onere economico a carico dei consociati risiede proprio nella necessità di finanziare un servizio di interesse generale: come conferma anche la Corte Costituzionale (sentenza n. 284 del 2002), il canone consente alla Rai di “adeguare la tipologia e la qualità della propria programmazione alle specifiche finalità di tale servizio, non piegandole alle sole esigenze quantitative dell’ascolto e della raccolta pubblicitaria, e non omologando le proprie scelte di programmazione a quelle proprie dei soggetti privati che operano nel ristretto e imperfetto «mercato» radiotelevisivo”. Le parole di Valerio Onida – professore di Diritto costituzionale, allora redattore della sentenza, oggi uno dei “saggi” nominati per preparare le riforme costituzionali – sono chiare: le somme raccolte attraverso la riscossione del canone permettono alla Rai di adempiere gli obblighi derivanti dal mandato di servizio pubblico senza doversi piegare a logiche concorrenziali. Per la Commissione europea questa missione è sufficiente a giustificare un aiuto di Stato. Lo ha affermato nel 2005 e nel 2009. Lo ribadisce oggi.

Il rinnovo del mandato di servizio pubblico – scaduto nel 2012 – è all’esame della Commissione per la vigilanza Rai. Come ha ricordato il presidente dell’organismo bicamerale Roberto Fico (M5S), si tratta di un atto fondamentale che, delineando diritti e doveri delle parti, “offre gli strumenti necessari per garantire al cittadino il rispetto della funzione di servizio pubblico da parte della Rai”. Questo documento è sufficiente a far sì che la Rai concorra allo sviluppo sociale e culturale del Paese (art. 1, l. n. 103 del 1975) e garantisca pluralismo, obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione (art. 1, n. 223 del 1990)? I promotori della petizione al Parlamento europeo rispondono di no anche alla luce dei dati rilevati dal Cd’A – Centro di Ascolto dell’informazione radiotelevisiva. Lottizzazione e sprechi sono forse la ragione che induce a considerare il canone Rai il più odiato dei tributi. La soluzione è allora la cedere la Rai ai privati? Le vicende delle privatizzazioni statali degli anni Novanta fanno sorgere alcuni timori.

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