1) Andreottismo: scuola di pensiero di matrice cattolico/utilitarista per la quale il concetto di “potere” – da perseguire quale fine in sé – sostituisce in tutto e per tutto lo Zeitgeist hegeliano (reputato troppo vago per fondare un pensiero filosofico solidamente strutturato) e assurge a unico e insostituibile valore della vita; a seguito di numerose e infondate accuse di eccessiva tolleranza nei confronti di alcune sue frange estreme (il cianciminismo, il limismo e il riinismo) la scuola conobbe una serie di sfortunate traversìe che la condussero alla chiusura; recentemente è oggetto di reviviscenza grazie alla ricerca e alla divulgazione di un giovane e promettente teorico pisano (E. Letta); 

2) Craxismo: variante minoritaria – per numero di aderenti e spessore concettuale – dell’andreottismo. Innanzi alla constatazione della parziale inefficacia della corrente madre nell’indispensabile opera di coinvolgimento delle masse, il craxismo affianca al concetto di “potere” quello di “mazzetta” nel dichiarato tentativo di introdurre nel dibattito alcuni elementi di materialismo (ville al mare, macchine sportive, coito a pagamento) a torto trascurati in precedenza; la corrente ebbe il periodo di massimo fulgore nel triennio 83-86. In seguito – anche a causa dell’inspiegabile rifiuto del pubblico dei discenti a provvedere le ulteriori risorse necessarie a mantenere la scuola – il suo fondatore abbandonò polemicamente l’attività speculativa, relegandosi in esilio oltremare e non mancando di affidare la missione divulgativa a un promettente allievo di origini brianzole (S. Berlusconi);

3) Berlusconismo: scuola di pensiero derivata dal craxismo, ne stravolgerà nel tempo i contenuti salienti orientandosi al più spinto materialismo; in particolare il berlusconismo sostituisce ai tradizionali valori del “potere” e della “mazzetta” quello – decisamente più evocativo – del “coito a pagamento”; a dir la verità, abbiamo già incontrato il coito professionale analizzando il craxismo e notando come esso fosse stato utilizzato – accanto ad altri simboli materialisti – per favorire l’abbandono degli eccessi trascendentalisti dell’andreottismo classico: nel berlusconismo il “coito” assume tuttavia un ruolo esclusivo, sostituendo completamente qualsiasi altro elemento di speculazione. E dunque in suo nome si istituiscono ministeri (le note “Pari Opportunità”) si fanno e disfanno alleanze internazionali (si veda il caso della “culona inchiavabile”), si occupano interi consigli regionali, provinciali e comunali; il culto del “coito”, insomma, assume una centralità pervasiva che non lascia spazio ad altre costruzioni concettuali. L’estrema esaltazione di questa immagine è stata aspramente criticata da alcune correnti minoritarie del berlusconismo (il follinismo, il casinismo e il finismo, in particolare), le quali, tuttavia, non sono andate oltre il velleitario tentativo di riscoperta del concetto di “spina dorsale”. Tali esperimenti di arricchimento della speculazione – privi, invero, di concreto spessore teorico – sono stati prontamente sconfessati dalla larga maggioranza dei componenti della scuola, anche grazie all’accorto contributo filosofico di uno dei pensatori più autorevoli del nostro tempo (G. Napolitano).

4) Dalemismo: filone di pensiero rigidamente conservatore, il dalemismo è erede diretto della grande tradizione legittimista di Burke e De Maistre. Partendo dal concetto hobbesiano di “segretario politico” – nuovo Leviatano che assomma in sé il potere temporale e religioso, traendo solo apparentemente la propria legittimazione dall’originale infingimento teorico del “Centralismo Democratico” –  il dalemismo giunge alle estreme conseguenze della speculazione preconizzando una società suddivisa in caste (la “partitica”, la “sindacale”, la “ministeriale” e, infine la residuale casta schiavistica “detuttilaltri”); ed è proprio a questo punto che esso mostra tutta la debolezza del proprio impianto teorico: come noto, infatti, il concetto di casta implica comunque una pluralità di componenti e mal si concilia con quello che diventerà il motto fondamentale del dalemismo (“io so’ io e voi nun siete ‘n cazzo”). Posto innanzi a questa palmare contraddizione, il dalemismo conobbe un rapido declino, saltuariamente interrotto dal contributo di alcuni pensatori minori (P.Bersani, A. Finocchiaro, e, recentemente, G. Cuperlo) i quali, tuttavia, non riuscirono a rinverdire le tradizioni della scuola a causa della povertà concettuale della propria produzione. 

5) Dipietrismo: corrente minoritaria ma sofisticatissima di pensiero nichilista. Corre l’obbligo, prima di tutto, di sgombrare il tavolo da un assurdo cliché di cui la critica filosofica si è colpevolmente zavorrata: il dipietrismo prima che essere filosofia politica è (innanzitutto e sopra a tutto) filosofia del linguaggio. Attraverso la destrutturazione della lingua, conseguita con uno spregiudicato disprezzo delle più consolidate regole della grammatica e della sintassi, il dipietrismo simboleggia in maniera chiarissima l’ambizione a demolire la stessa società, le sue convenzioni, i suoi perbenismi, alla ricerca continua del nuovo. Come altrimenti spiegare la singolare comunanza di linguaggio tra i suoi più alti rappresentanti (Di Pietro, in primis, ma si rammentino anche Razzi, Scilipoti, De Gregorio)? Come altrimenti spiegare il continuo ricorso alla metafora agreste? Dopo uno scontro durissimo ma vittorioso con il craxismo, il dipietrismo dovette arrestarsi di fronte delle notevoli difficoltà incontrate nella divulgazione di un messaggio talmente sofisticato da risultare, ai più, incomprensibile.

6) Veltronismo: scuola new age fondata da Paulo Coelho, il veltronismo ebbe il suo momento di massimo fulgore negli anni in cui si scoprivano gli effetti miracolosi dell’urinoterapia. La scuola scomparve definitivamente a seguito della decisione dei suoi principali rappresentanti di dedicarsi alle più proficue attività editoriali.

(continua)

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