A dispetto del nome esterofilo, poetico, Les Fleurs des Maladives che è liberamente ispirato all’opera di Charles Baudelaire, I Fiori del Male e in particolare alla dedica di “questi fiori malsani” che il poeta fa al suo mentore Théophile Gautier nella premessa del libro, la band post grunge comasca ha un merito di non poco conto. Quello di uscire dallo stereotipo, tra l’altro denunciato durante un’intervista da Ian Anderson, storico leader della  band Jethro Tull: “I cantanti si sentono costretti, per motivi commerciali, a cantare in inglese, a farlo con quello che spesso risulta essere un ridicolo accento americano e a uniformare la propria tecnica vocale a un certo pop-rock di maniera”. Cantano in italiano, dunque, nonostante l’idea di base che li guida sia la stessa, molto pretenziosa, di sempre: “Defibrillare la salma del Rock che tutti sembrano compiangere più o meno ipocritamente – afferma il cantante Davide Noseda – per vedere se riusciamo a rianimarla ancora per un po’ e fargli fare un giro dalle nostre parti”. Il loro disco d’esordio, intitolato Medioevo è rock alternativo d’autore cantato in italiano: “Abbiamo una forte attrazione per la scena alternativa anni 90, così le nostre sonorità sono naturalmente contaminate dai sapori e dalle atmosfere”. Cavalcate stoner, esplosioni grunge e contaminazioni noise modulate e reinterpretate sempre da una spiccata vena cantautorale e da un amore viscerale per la parola scritta e recitata. È un album che attraversa diversi momenti e ambientazioni: dagli scenari rock più heavy a quelli un po’ più evocativi fino a toccare momenti espressamente recitativi e acustici. “In generale, però, le categorie ci vestono un po’ strette, come del resto può intuire chi ha ascoltato il disco: ogni canzone è a sé. Pensiamo che il rock e più in generale la musica, abbiano ancora molto da dire e crediamo che qualsiasi forma di espressione artistica debba sì da un lato pagare pegno al passato cui attinge, ma anche e soprattutto rapportarsi con l’attualità e le cose che accadono oggi e non 20, 30 o 60 anni fa”.

Davide come nasce la band e qual è il vostro background artistico? 
La band nasce anagraficamente nel 2002 da un mio slancio compositivo con un’altra formazione, ai tempi c’era anche un violino, sotto il nome “les Fleurs du Mal”: il riferimento a Baudelaire voleva essere diretto. Poi il progetto ha cominciato a delinearsi in modo più definito dal 2007 con l’arrivo di Ugo Canitano al basso, quando abbiamo registrato il nostro primo Ep autoprodotto fino a raggiungere l’attuale formazione con Riccardo Giacalone alla batteria e il nostro primo album ufficiale.

Parliamo del vostro disco d’esordio “Medioevo” e del concept a esso legato.
Il Medioevo è per definizione sinonimo di “epoca buia” piena di incertezze, dove si cerca di sopravvivere navigando a vista senza troppe aspettative per il futuro a causa di una indeterminatezza latente, di una forte chiusura nei confronti delle varie forme di espressione artistica conseguentemente a una netta crisi di valori e a una mancanza di stabilità sociale, culturale ed emotiva. Ebbene questo ci è sembrato il paragone e l’espediente narrativo perfetto per raccontare a nostro modo quello che stiamo vivendo oggi sia nel nostro paese che nel resto del mondo. All’inizio il titolo dell’album doveva essere proprio “Il crollo dell’Impero Occidentale” dato che esprimeva molto bene immaginificamente l’atmosfera che attraversa l’intero disco. L’espediente narrativo è stato contrapporre le due figure tematiche: “Occidente” e “Oriente”. La prima rappresenta ovviamente la situazione attuale di crisi, la rabbia che ne scaturisce, lo sfogo, la cosiddetta pars destruens  mentre la seconda è la pars construens: il processo catartico del viaggio attraverso un percorso di ricerca che ha come strumento fondamentale la nuda conoscenza, prima di tutto, di se stessi.

Cosa significa per voi fare musica?
Fare musica per noi rappresenta un fortissimo e inestinguibile bisogno di comunicare con gli esseri senzienti che ci circondano, cercando di fare arrivare il nostro “messaggio” al mondo esterno al meglio delle nostre capacità, potenzialità e volontà.

Leggendo la vostra bio scopro che avete una certa “urgenza riflessiva”. Mi spieghi meglio? Qual è il messaggio che vi augurate venga colto da chi ascolta il vostro disco?
Di solito si dice che un disco, o più in generale un’opera artistica, nascano da un’‘urgenza espressiva’, ovvero la necessità di esprimere tutto nel modo più diretto e immediato possibile. Il nostro album invece si può dire che sia stato generato da un delicato equilibrio di chiaroscuri tra l’imperativo categorico di riflettere su quello che ci accade intorno e l’impellente bisogno di comunicarlo con forza, da qui il gioco di parole ‘urgenza riflessiva’. Nonostante la serietà dei temi affrontati l’album è impregnato di una costante vena grottesca, satirica e autoironica: una disillusa ‘presa per i fondelli’ derivante dal fortissimo senso di impotenza che giunto all’esasperazione sfocia in una sorta di piacere perverso autolesionista e masochista: un misto tra la rassegnazione e la costante voglia di reagire. Il disco, molto umilmente, vuole essere un accorato invito che rivolgiamo a chi ci ascolta a esercitarsi nella mai troppo abusata pratica del ‘dubbio’ e a non accettare per comodità o pigrizia ciò che ci viene imposto o servito ‘pronto da consumarsi’ su di un invitante cabaret di concetti, fatti e ovvietà da supermercato.

Quali sono le vostre ambizioni?
Le nostre ambizioni al momento sono le stesse di qualsiasi altra band che esce nel 2013 (ormai 2014) con un album (opera prima per giunta) e si trova faccia a faccia con un mercato musicale in pieno stallo e una scena live ridotta ai minimi termini: non possiamo fare altro che ambire a fare conoscere il nostro disco portando in giro la nostra musica il più possibile. Più che ambizione si tratta di una sfida vera e propria! La musica è innanzitutto una necessità di comunicare che per realizzarsi in pieno deve giocoforza raggiungere tante persone, tante teste e tante coscienze in modo da riuscire ad arrivare e “consegnare il proprio messaggio” a coloro i quali condividono con essa sensazioni, esperienze, pensieri ed emozioni.

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