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Carceri: gli uomini di Enna

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Una mia cara amica, giorni fa, mi avverte: “C’è gente che ti vuole bene, non dimenticarlo”. La mia cara amica si chiama Annamaria Piccione, è una scrittrice siciliana, autrice di libri per ragazzi, è tutor di un grande progetto organizzato dalla Bimed (Biennale delle arti e delle scienze del Mediterraneo). Il progetto è stato intitolato “Staffetta della scrittura creativa”, in poche parole si tratta di un romanzo a diecimila mani, sono coinvolte molte scuole d’Italia, ogni capitolo è affidato a una classe di studenti. Alcuni autori partecipano regalando un incipit, ho cominciato anch’io, già lo scorso anno. I miei incipit sono la mia poetica, quella della marginalità, lo avete capito – immagino – oramai.

Sono sempre in dubbio, tuttavia, stancherò i lettori prima o poi? Non è questo il punto, adesso. Il mio incipit arriva a questi uomini, frequentano l’istituto “Edmondo De Amicis”, vivono nella casa circondariale di Enna. Sono reclusi. E’ a loro che si riferisce la mia amica Annamaria quando mi confida sorridendo: “C’è gente che ti vuole bene”. Per poi aggiungere: in una casa di Enna, una casa speciale. L’incipit introduceva alla storia di Mario, era una storia di droga, miseria, amore, solitudine.

Mario finiva in carcere, dopo una rapina. Era il mio incipit. Il capitolo che toccava agli uomini della casa di Enna era l’ottavo mi pare, non vorrei sbagliarmi. Ognuno di loro si guardava allo specchio, mi dice oggi Ida Ardica, la loro insegnante. Ida Ardica, neanche a dirlo, ha fatto scelte radicali nella vita, la sua è una gioiosa vocazione. Così loro mi aspettano – mi dice Ida, mi conferma Annamaria – e promettono entrambe: “ Ti aspettano perché ti vogliono bene, perché li hai raccontati, come se fossi una di loro”. E abbiamo sorriso con tenerezza al pensiero e un po’ ci siamo commosse quando con Ida si è parlato di quel capitolo, del momento in cui gli uomini della casa di Enna avrebbero dovuto raccontare del tradimento di Mario, per opera di alcuni compagni, e tutti loro si sono rifiutati persino di scrivere di un tradimento. Non siamo infami, hanno riferito a Ida, noi Mario non lo tradiamo. E c’è voluta una delicata trattativa per convincerli che quel tradimento sarebbe finito nella finzione, soltanto nella finzione. Per loro non lo era. Ida mi ha detto che ognuno di quegli uomini era Mario. Il loro capitolo ha qualcosa di prodigioso. Il loro talento, la loro capacità di guardare al dolore del mondo, come possono solo gli scrittori, ha qualcosa di prodigioso. Ci sono luoghi di solitudini inaudite, nella costrizione ad esempio. Però è davvero molto strano che nei luoghi di solitudini inaudite si nutra prepotentemente il senso del nostro procedere. Andrò a trovarli, e vi racconterò ancora di loro.

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