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Berlusconi aziendalista, la politica come il marketing

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I laboratori che producono a getto continuo i trucchi argomentativi con cui Berlusconi e i suoi domestici manipolano l’opinione pubblica e spiazzano i competitori rivelano sempre una chiara impronta aziendalistica.

In questo momento – dopo la botta tremenda inflitta al Grande Evasore dalla sentenza di Cassazione – il refrain ricorrente è quello che già il diretto interessato faceva risuonare, nel video registrato trasmesso a reti televisive unificate: con quella decisione il voto di milioni di elettori era stato nullificato da “magistrati non eletti dal popolo ma selezionati attraverso un concorso come tutti i funzionari pubblici”.

Non solo questi “golpisti in toga” indossano calzini color pastello, hanno pure la pretesa di parlare senza nemmeno aver fatto una campagna elettorale! Un po’ come il celebre economista Luigi Spaventa, contrapposto nel 1994 all’ormai ex-cavaliere nello stesso collegio elettorale romano, il quale venne apostrofato “prima vinca una Coppa dei Campioni di calcio e poi parli…”. Anche in quel caso una battuta demenziale, che tuttavia incontrò un grande successo di pubblico; nel clima culturale ormai colonizzato dalla retorica argomentativa dei cinepanettoni.

Clima in cui ha trovato il proprio habitat naturale la nota costituzionalista Daniela Garnero in Santanché, sempre pronta a sibilare i suoi puntuali brocardi in materia di legittimazione, con cui innova Montesquieu in una meritoria opera di semplificazione.

Sicché i poteri dello Stato passano da tre a uno soltanto: l’urna elettorale. E nel frattempo la fine giurista si prodiga per far dimenticare quel suo piccolo tradimento temporaneo,
quando era transitata alla corte di Francesco Storace pronunciando una frase dal tono dannunziano rivolta a Berlusconi. Il Vate, nel passaggio dalla Destra alla Sinistra, esclamò “vado verso la vita”; la presenzialista venuta da Cuneo confessò: “lui la voleva ma non gliela ho mai data”. Naturalmente riferendosi alla propria anima.

Ora, nel cambio di pelle da pitonessa berluscones, ripete la lezioncina che qualche esperto di comunicazione ha predisposto. Ma dato che – come si diceva – gli spin-doctors al servizio di Arcore si sono fatti le ossa lavorando per le aziende, le loro escogitazioni ne risentono in maniera palese. Infatti l’idea del voto che funziona come una sorta di Lourdes,
in cui ogni misfatto (dall’evasione alla compravendita di parlamentari, alla prostituzione minorile) viene cancellato dall’immersione redentrice nelle sue acque miracolose, è una variazione sul tema della cosiddetta “sovranità del consumatore”.

L’idea mendace che l’acquirente dei prodotti decida liberamente, quando sono all’opera centinaia di signori del pensiero che ne deviano le propensioni all’acquisto grazie al marketing e la promopubblicità, fa il paro con quella dell’elettore decisore di ultima istanza.

Una favola bella che non tiene conto di tutti i condizionamenti a cui il corpo elettorale è sottoposto; particolarmente nell’epoca in cui la mediatizzazione del discorso pubblico ha reso la colonizzazione degli orientamenti elettorali una tecnica di sicuro effetto. A partire da quei telegiornali tambureggianti, in onda sulle televisioni commerciali controllate da Berlusconi, in cui l’Emilio Fede di turno risultava il massimo influenzatore di una platea virtuale composta da casalinghe e pensionati.

Difatti la comunicazione aziendale riciclata in politica lavora per grandi banalizzazioni. Tanto che concetti complessi, quale quello di democrazia, vengono ridotti a niente meno che un sondaggio sul prodotto più appetibile. E pure a un’arma spianata sull’avversario, accusato di non essere democratico quando afferma che le sentenze vanno rispettate; a
prescindere dal fatto che una minoranza di italiani si sono fatti abbindolare dalla propaganda del pregiudicato (o si sono identificati nelle sue vicende, convinti che un regime di generale impunità giovi pure a loro).

Miracoli della vendita imbonitoria fattasi tecnologia hi-tech.

 

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