Sarà possibile semplificare la terapia anti-Hiv? Sembra proprio di sì se si considera lo studio pilota Atlas condotto da Andrea De Luca, Simona Di Giambenedetto e Roberto Cauda dell’Istituto di Clinica di Malattie Infettive dell’Università Cattolica -Policlinico A. Gemelli di Roma. Lo studio è stato pubblicato sul ‘Journal of Antimicrobial Chemotherapy’. I pazienti sono stati trattati con due soli farmaci attivi: un inibitore delle proteasi virali (atazanavir) e un inibitore della trascrittasi inversa (lamivudina). Oltre a tenere a bada il virus Hiv, il trattamento ha gravato anche meno sulla salute dei pazienti rispetto ai regimi farmacologici standard: si sono infatti riscontrati miglioramenti significativi della funzionalità renale, della salute fisica e mentale generale.

La terapia a due farmaci è risultata sicura anche dal punto di vista della protezione del sistema nervoso centrale, con alcuni miglioramenti nei compiti che valutavano l’attenzione e le funzioni esecutive e nel numero totale di prove patologiche. Tra le possibili strategie di ottimizzazione della terapia antiretrovirale raccomandate delle recenti Linee guida italiane – evidenzia una nota – la riduzione del numero dei farmaci appare un’opzione preferibile in alcune condizioni, come la documentata tossicità, la presenza di effetti collaterali, la prevenzione della tossicità a lungo termine. Tra queste strategie, la duplice terapia basata sugli inibitori della proteasi di Hiv (una classe di farmaci estremamente potente) e lamivudina (un farmaco utilizzato da quasi 20 anni, molto sicuro), sembra molto promettente in pazienti selezionati. 

Per questi motivi i ricercatori dell’Istituto di clinica delle malattie infettive del Policlinico Gemelli hanno ideato ‘Atlas’ (ATazanavir and LAmivudine Simplification study), uno studio pilota (studio preliminare su un piccolo gruppo di pazienti) di semplificazione della terapia contro l’Hiv per cercare di rispondere all’esigenza clinica di ridurre la tossicità dei farmaci antiretrovirali (in particolare gli inibitori nucleosidici e nucleotidici della trascrittasi inversa) nel lungo termine, mantenendo alti livelli di efficacia. Sono stati arruolati 40 pazienti. Dopo aver semplificato la terapia con due farmaci attivi (atazanavir e lamivudina) e un farmaco di sostegno ad atazanavir (ritonavir) i pazienti hanno effettuato visite di controllo a 4, 12, 24, 36 e 48 settimane dalla visita di inizio studio. Erano previste inoltre alcune valutazioni speciali delle funzioni più fini del sistema nervoso centrale, la misurazione della densità dell’osso, la ricerca di eventuali placche aterosclerotiche della carotide e questionari per la valutazione di aderenza alla terapia, sintomi e qualità della vita.

Questo studio ha dimostrato la fattibilità, nei pazienti che rientrano nei criteri di selezione descritti, della terapia anti-Hiv a due farmaci. “Attualmente – concludono i ricercatori – stiamo valutando questo trattamento in uno studio nazionale che è iniziato circa un anno fa e che, coinvolgendo oltre 20 centri in Italia, ha già arruolato quasi 150 soggetti. L’obiettivo è confrontare questa strategia con la prosecuzione della classica terapia a tre farmaci. La riuscita di questo grande studio nazionale potrebbe aprire la strada a un alleggerimento della terapia anti-Hiv e della sua tossicità in molti pazienti con le caratteristiche adeguate per questo tipo di trattamento”.

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