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Alfano &Co., l’apoteosi dell’impudenza

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Quale tratto caratteriale accomuna l’Angiolino Alfano (“Liso dagli occhi sbarrati”, mica blu), lo zoologo leghista Roberto Calderoli e la Maria Antonietta del Partito Democratico Anna Finocchiaro? Presto detto: la sfrontatezza inconsapevole. Ossia, la convinzione impudente che sia del tutto normale calpestare a piacimento – proprio o per conto terzi – qualsivoglia principio; etico, giuridico o semplicemente di buon senso.

Il ministro degli Interni, con le pupille perennemente dilatate dall’incredulità per il repentino salto di carriera (da lacchè di Palazzo Grazioli a governante), si inalbera se qualcuno mostra di “non bersela” la sua estraneità nell’immonda storia della mamma Shalabayeva e di sua figlia; consegnate in ostaggio all’emiro del Kazakhstan, accertato torturatore ma amico petrolifero di Silvio Berlusconi: il datore di lavoro da cui dipende quella adamantina tempra di statista chiamata Alfano.

La stampa internazionale grida alla vergogna dei diritti civili fatti strame dal governo italiano. Qualcuno se la prende pure con la responsabile degli Esteri Emma Bonino; dimenticandosi che si tratta certamente di una brava ragazza ma pur sempre una protesi di Marco Pannella (ossia un avventuriero della politica che talvolta ha militato dalla parte giusta:
divorzio e aborto sì, no di certo nell’attacco ai diritti sindacali o portando in Parlamento Toni Negri e la Cicciolina). E la ministro radicale è stata per tutta una vita testimone silente delle varie, reiterate e financo trasformistiche mattane di costui.

Ma il vero scandalo nello scandalo appare l’evidente convinzione di impunità, la certezza di poter fare quello che gli pare (o che gli dice di fare uno a cui non si può dire di no), messa in bella mostra dall’atteggiamento dell’Angiolino.

L’identico retropensiero, con aggiunta di risvolti inconsciamente comici, per cui l’odontotecnico prestato alla politica Calderoli può paragonare la ministro Kyenge a un primate; quando proprio lo zoologo della Val Brembana è la perfetta versione antropomorfica del suino che ha dato il nome alla riforma elettorale di cui fu promotore: il Porcellum.

Puro disprezzo dell’interlocutore, per non dire del buon senso (il buon gusto è in fuga da lunga pezza, innanzi a personaggi di tal fatta). Tanto che l’ex ministro della pari opportunità (o dei diseguali privilegi) Finocchiaro, quando gli iscritti al suo stesso partito manifestano l’intollerabile pretesa di voler partecipare alle decisioni collettive, può esibire il suo pretenzioso birignao nell’apprezzato remake della consorte di Luigi XVI e delle sue famose brioches: “che vogliono questi?”. Poi impettita prende su e se ne va all’IKEA con la scorta.

Alfano, Calderoli e Finocchiaro come specchio dei tempi.

In sostanza, fummo in tantissimi a esultare quando la Prima Repubblica affondò nel letamaio di Tangentopoli. Eppure oggi almeno ne rimpiangiamo il senso del pudore. Quella profonda verità racchiusa nella massima immortale di François de la Rochefoucauld: “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”. Certo, sarebbe di gran lunga meglio praticare direttamente la virtù, ma almeno si rispettino le forme. Per amore di decenza, come aspirazione latente a un qualcosa di meglio. Ora invece l’indecenza ostentata ascende a segno di apprezzabilità sociale, per cui “i c..zi miei” diventano priorità assoluta, il primo diritto costituzionale.

Con icone che vanno dalla Daniela Santanché, pitonessa del PDL, alla nuova entrata Rosanna Filippin: la senatrice del Pd (sino ad oggi segnalatasi solo per l’acconciatura dei capelli a cespuglio, look GianRoberto Casaleggio), membro della Giunta delle elezioni preposta a decidere sull’ineleggibilità o meno di Silvio Berlusconi; la quale minaccia di denunciare alla polizia i suoi elettori se le inviano fax o sms invitandola a mantenere gli impegni elettorali assunti (in sostanza: non fare mai combutta con i berluscones).

 

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