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Adele Gambaro e quel processo grillino alla Eyes wide shut

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La sensazione che ho tratto leggendo le cronache sul processo di cui è stata oggetto la sentatrice cinquestelluta Adele Gambaro è stata quella di trovarmi dentro ‘Eyes wide shut‘. Per la precisione quando Tom Cruise (che si era imbucato ad una cerimonia dal sapore erotico-occultistico-massonico) veniva beccato, come si dice a Roma sol sorcio in bocca: e il gran sacerdote lo smascherava domandandogli una seconda parola d’ordine, che però non esisteva. Un processo inquisitorio allestito davanti a centinaia di umani molti dei quali nudi ma mascherati. Ovvero: una falsa trasparenza però coperta dall’anonimato.

Non conosco personalmente la Gambaro e nemmeno gli altri grillini: ma il metodo con cui è andato in scena il processo e quello con cui più in generale essi dirimono le questioni interne invece lo conosco bene. E’ un metodo-chiesa dove però non c’è nemmeno la possibilità della redenzione visto che tal senatrice Enza Blunfo ha pure chiesto alla Gambaro di ‘chiedere perdono in diretta streaming’ (la stessa che il consesso non ha voluto, mi pare) senza però alcuna certezza che quel gesto le valesse la riammissione nella chiesa. E’ un metodo clericale in salsa arcoriana (l’inscalfibile odio per i ‘trecento giornalisti che sono lì fuori’: molti dei quali senza contratto o pagati poche lire a pezzo con la speranza, un giorno, di ricevere uno stipendio che non arriverà mai) senza però lo spiraglio del perdono divino.

Le inquisizioni falliscono, Grillo dovrebbe saperlo. E il pensare di sostituire un sistema marcio come quello dei partiti corrotti con un sistema totalitario ecclesiale è una prospettiva gradevole quanto schiacciarsi le dita chiudendo un portoncino blindato. Oltre-Tevere le concezioni di giustizia e gestione della cosa pubblica sono più o meno quelle del Medioevo: francamente quando Grillo parlava di cambiamenti strutturali pensavo a qualcosa di meglio.

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