Istanbul, manifestazione mamme piazza TaksimIeri le mamme delle ragazze e dei ragazzi di GeziPark, assieme ad altre donne di Istanbul, hanno manifestato in una piazza Taksim svuotata ma gonfia di tensione. L’ ho visto al tg1 ma ne avevo già avuto notizia da una foto su Fb postata da O Dill Dee, giovane artista turca, mia ex- studentessa, che in questi giorni convulsi aveva anche trovato il modo di rassicurarmi sul fatto che stesse bene, minimizzando il fatto di aver passato una notte in ospedale per via dei gas urticanti. Cosa che non è che poi mi avesse rassicurato molto, ma era da un po’ che facevo l’esercizio virtuoso di tener a bada l’ansia.

Era da venerdì 31 maggio alle 11 di sera: Lale, una dottoranda dell’Università di Marmara, adesso a Firenze, mi manda un sms scusandosi per l’ora ma dicendomi di avvertire Agostino di non uscire assolutamente, che a Taksim c’è l’inferno. Agostino è mio figlio ventiduenne, da settembre in Erasmus ad Istanbul, e che abita nel quartiere curdo di Tarlabagi, che si affaccia sull’Avenue che, dopo 100 metri, sfocia nella piazza Taksim. Che è un piazzalone brutto, assolato, deturpato dai cantieri, dove partono autobus e pullman che solo turisti testardi riescono ad utilizzare vista la totale mancanza di indicazioni o informazioni (anche in turco). Il Gezi Park, dal piazzale, quasi non lo vedi, perché è qualche scalino più in alto. E da lì entravi in un’altra epoca, tipo un’Italia anni Sessanta, con quei repentini scarti temporali con cui Istanbul, specialista in nostalgie, ti seduce di brutto. 

Ero stata a trovare il figliolo ed ero tornata da pochi giorni. La città poteva apparire quella delle altre volte, smisurata caotica efficiente e arcaica allo stesso tempo. Ma anche sempre più stravolta nella corsa verso una globalizzazione che in pochi anni ha spazzato via dalle botteghe intorno al gran bazaar il loro bellissimo artigianato per sostituirlo con scadenti prodotti cinesi. Ovunque i segni di una imponente crescita economica, ma anche di un clima più esasperato e violento. La manifestazione del primo maggio era finita fra scontri, cariche della polizia e arresti in massa, mentre i dimostranti cantavano una struggente versione turca di Bella Ciao. La stampa occidentale, impegnata a seguire esangui primomaggio televisivi, si era coinvolta il giusto, mentre i social media già traboccavano di foto e commenti esasperati.

Altri segnali li intercettavi anche dentro i racconti, anche svagati, del figliolo. Ad esempio, di come fosse stato redarguito da un tizio in borghese, sulla metro, dal baciare la fidanzata in pubblico. Gli era andata bene, gli era stato sottolineato dal tizio, perché entrambi studenti stranieri. I suoi amici turchi, poi, gli avevano raccontato di come l’anno prima due ragazzi fossero stati arrestati per questo. I giovani erano insorti e avevano messo in atto un gigantesco flash mob per le strade di Istanbul in cui tutti baciavano tutti. Pare che questo avesse funzionato e li avessero liberati. 

Impari presto a capire con quanta facilità oggi in Turchia uno studente può finire in galera: alle manifestazioni, ma anche in giro, la sera senza particolari motivi, puoi venire fermato, arrestato e/o picchiato.  Il suo primo coinquilino, studente e redattore del giornale di sinistra Sol (ora oscurato sul Web) era già stato in prigione e come lui quasi tutti gli amici che la sera si riunivano in casa per chiacchierare, suonare e fumare (mamma, fumano come turchi davvero).  La legge che proibiva ai locali di vendere birra dopo le 11 di sera era entrata in vigore proprio in quei giorni e gli studenti stavano già organizzando la protesta. Sapendo a cosa andavano incontro.

“Questo boom economico è una grande bugia”  ci aveva spiegato indignata, in ottimo italiano, la mia amica scultrice Nilufer Ergin, sulla terrazza del Museo Modern Istanbul la cui vista sul Bosforo viene spesso oscurata dalle mostruose navi crociera che, ancora peggio che a Venezia, attraccano proprio lì davanti “I soldi arrivano dagli stati Arabi che pretendono in cambio dal governo di Erdogan una totale islamizzazione della società. Se venissero a mancare la Turchia si ritroverebbe col culo per terra nelle stesse, o peggiori, condizioni di Grecia Spagna e Portogallo. Così fanno credere alla gente che la loro fortuna è stata quella di non essere entrati nella Comunità Europea: e ai turchi è convenuto far finta di crederci”.

E poi, dopo pochi giorni, eccomi al cellulare (niente Skype, internet era oscurato) a chiedere al figliolo di stare in casa, di non scendere giù in strada….”Mamma, dai, siamo stati in casa tutto il giorno, ora si esce un minutino si va a vedere, guarda–  mi dice mentre cammina, in una sorta di diretta, lui su quel vialone verso Taksim, accidenti che figliolo imbecille, maledizione – mamma, tranqui, è tutto come al solito, ora attraverso, tutto normale, c’è il solito gruppino dei transessuali davanti al bar, ora vado un po’ più avanti….è tranquil…ah vedi un po’, ecco sparano, i lacrimogeni,  si sente...TORNA A CASA – io, la madre, ormai scandisco isterica nel telefonino- si mamma dai, un minuto vado, sono tutti lì i ragazzi, non ti preoccupare, poi torno a casa, ma i ragazzi sono tutti lì ...

Certo, si, saremmo stati tutti lì, anche noi. Un tempo. Ce lo si diceva al telefono con un’altra “mamma Erasmus” di una meravigliosa ragazza di Palermo, Virginia, lei si, sempre  piazzata a Gezi Park a fare interviste e a dar voce alla protesta via radio. Saremmo scese sicuramente con le mamme l’altro giorno. Con una fifa boia, magari. Ma con quella splendida convinzione di fare la cosa giusta, di cui oggi, in Italia possiamo avere solo una selvaggia nostalgia.

Comunque Agostino è tornato ieri, tutto intero, dal suo anno di Erasmus ad Istanbul. E di cose ne avrà da raccontare.

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