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Jason Molina, morte di un poeta rock

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E’ morto nel silenzio, sabato scorso, Jason Molina. Dopo Sparklehorse e Vic Chesnutt, lui, altra figura storica del universo musicale indipendente americano. E se ne va nell’ombra, a 39 anni. Si diceva avesse smesso di bere. E invece proprio a causa di una intossicazione alcolica pare sia morto. Sulle sue spalle l’emblema dell’America profonda, di quel alt-country, di quel rock scarnificato che riusciva a incantare. Sia quando si chiamava Songs: Ohia che Magnolia Electric & Co. ha segnato una pagina indelebile. Aveva tentato di disintossicarsi in una comunità nel West Virginia, aveva chiesto aiuto ai fan affinché lo aiutassero per pagarsi l’assicurazione sanitaria. Nulla da fare.

Gli esordi nella seconda metà degli anni novanta, molti buchi nell’acqua soprattutto nel nuovo millennio. Però, anche nei peggiori album, la capacità di cacciar fuori canzoni di bellezza cristallina. E al di là di queste quattro parole in croce, è davvero così che preferirei fosse ricordato. Con una canzone. 





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