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Se la gestione degli esodati non è una priorità

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Nonostante di malfunzionamento dell’amministrazione dello Stato si discuta da anni, è difficile abituarsi alla inefficienza dello Stato e alla colpevole latitanza dei Ministeri dalla buona gestione dell’esistente, che non sarà innovativa e riformista e non potrebbe mutare radicalmente la faccia della burocrazia statale, però potrebbe far funzionare al meglio ciò che c’è. Un po’ come se un azienda, nell’impossibilità – o nell’attesa – di investire in nuovi prodotti e processi si guardasse bene dall’ottimizzare quelli che ha.

Un buon esempio di mala-gestione è il noto problema degli esodati; sulla leggerezza delle stime da parte del ministero si è scritto diffusamente, come anche della caparbietà nello sminuire reiteratamente il problema anche di fronte all’evidenza; un aspetto che invece non viene messo troppo in risalto è la tempistica intollerabile dei processi di identificazione certa dei “fortunati” salvaguardati. A oggi, metà Gennaio 2013, l’Inps non è ancora in grado di dare alcuna risposta certa ad alcun esodato che gli rivolga la domanda tutto sommato semplice: poiché ho i requisiti previsti dalla legge del 4 Dicembre 2011 e anche quelli aggiunti a tradimento nel decreto attuativo del Giugno 2012, sono o non sono effettivamente salvaguardato? La domanda è divenuta tanto più stringente in quanto alcuni dei potenziali beneficiari della salvaguardia dei primi 65.000 esodati avrebbero decorrenza della pensione nel mese di febbraio 2013 e potrebbero anche avere esaurito le risorse sulle quali facevano affidamento per arrivarci nella propria condizione di disoccupati; non parliamo poi degli ulteriori 55.000 salvaguardati, per i quali il decreto attuativo è rimasto fermo più di due mesi alla Corte dei conti in quanto il Governo non dava alla stessa i chiarimenti richiesti ed è stato pubblicato in G.U. solo il 16 Gennaio 2013; dei successivi 10.300 salvaguardati, per il momento meglio non parlare.

Eppure stiamo parlando di persone per le quali la storia lavorativa/contributiva è ben conosciuta dall’Inps e la cui elaborazione delle posizioni poteva essere iniziata molti mesi fa; per l’esattezza immediatamente dopo la pubblicazione, nel Luglio 2012 – notare: a 7 mesi dalla pubblicazione della legge di riforma! -, del primo decreto attuativo. E’ vero che per gli esodati in senso stretto, cioè coloro che avevano lasciato l’attività lavorativa a seguito di licenziamenti, la posizione da eventuali salvaguardati doveva essere preliminarmente vagliata dalle Direzioni Territoriali del Lavoro competenti, ma è anche vero che questi ultimi enti – anch’essi nella sfera di controllo del Ministero del Lavoro – hanno ricevuto le ultime domande entro il 21 Novembre 2012, e quindi dovrebbero avere avuto tutto il tempo necessario a espletare le proprie procedure. Dunque è inesplicabile questo ritardo che non può che essere imputato a carenze gravi di procedure e organizzazione nonché, probabilmente, di direttive e di controllo sistematico dello stato di avanzamento da parte del Ministero del Lavoro. La lentezza esasperante del processo in corso denota una sostanziale mancanza di sensibilità al problema che invece è emerso nella sua gravità agli occhi dell’opinione pubblica sino dalla pubblicazione della legge di riforma delle pensioni. Pur consapevole della dimensione del problema, il Ministro – e per estensione il Governo di cui faceva parte – non ha sentito tra i suoi doveri primari quello di impegnarsi in una attività di pianificazione dell’intero processo a cui far seguire poi un controllo quotidiano del suo progresso, possibilmente celere; in parole povere, è mancata la “gestione”.

I comitati di esodati hanno tempestato di missive il Ministero del lavoro, l’Inps e la Corte dei Conti; hanno persino lanciato l’iniziativa di una causa collettiva nei confronti del Ministro del lavoro, per “mobbing sociale”, a causa dello stato di incertezza e di ansia nel quale sono stati lasciati per mesi e sono tuttora. Le risposte sono state al più laconiche, talvolta completamente assenti e non si è vista traccia né di scuse per l’evidente mala-gestione, né di un ombra di rimorso per il danno morale fatto; d’altra parte anche l’arroganza della “burocrazia statale” è nota da tempo, ma anche a questa è difficile abituarsi.

Riformare l’amministrazione dello Stato è certamente un obiettivo che qualsiasi Governo dovrebbe avere, ma prioritaria e propedeutica è la messa in efficienza dell’esistente, il che richiede applicazione e metodo; discipline noiose, poco creative, che non danno l’esaltazione di avere imposto una riforma che cambierà le vite dei cittadini – mica sempre in meglio – ma che anzi incontrano ostacoli e intoppi quotidiani, resistenze attive e passive da vincere e non portano grandi riconoscimenti.

Abbiamo bisogno di riforme, purché ben pensate ed eseguite, ma nella stessa misura abbiamo bisogno di gestori onesti e disciplinati, capaci di ottenere il meglio da quello che viene loro affidato. Senza una combinazione delle due cose qualsiasi riforma, pur anche ottima, sarebbe de-potenziata dalla trascuratezza nel o dall’incapacità di fare “funzionare la macchina”.

 

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