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Licenziata da Panorama per aver criticato il direttore. Il tribunale la reintegra

Paola Ciccioli era stata mandata via dalla Mondadori per aver offeso il direttore del settimanale Giorgio Mulè. “Non conosce la vergogna”, aveva scritto al responsabile editoriale. I magistrati di Milano, però, hanno stabilito il dovere per l'azienda di ricollocarla. "Mi avevano isolato anche fisicamente dagli altri colleghi"
Licenziata da Panorama per aver criticato il direttore. Il tribunale la reintegra
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Criticare il proprio direttore non vale un licenziamento. A ribadire il concetto, se mai ce ne fosse bisogno, è il Tribunale di Milano, che ha reintegrato la giornalista di Panorama Paola Ciccioli, licenziata un anno fa dalla Mondadori per aver offeso il direttore Giorgio Mulè. “Non conosce la vergogna”, aveva scritto lei in una mail indirizzata all’allora direttore editoriale della Mondadori. L’ennesima critica a una politica redazionale che l’aveva ridotta all’inattività, isolandola anche fisicamente dai colleghi. “Un giornalista ha il dovere di prendere posizione”, rivendica la Ciccioli, e il giudice del lavoro le dà ragione.

Vent’anni di lavoro nel gruppo Mondadori, dieci dei quali nella redazione della rivista Panorama. Poi, nel 2009, a dirigere il settimanale di casa Berlusconi arriva Giorgio Mulè, e la vita di Paola Ciccioli cambia. Le divergenze tra i due risalgono al 2007, quando Mulè è direttore del settore “Attualità” di Panorama, e l’erronea pubblicazione di atti giudiziari all’interno di un articolo rischia di costare alla Ciccioli una condanna per diffamazione. “Nonostante i miei solleciti”, ricorda la giornalista, “la direzione non prese provvedimenti contro il vero responsabile dell’errore. Anzi, lo stesso Mulè, una volta diventato direttore di testata, lo promosse”.

Solo il primo di una serie di comportamenti che la Ciccioli, in una mail del gennaio 2012 al direttore editoriale di Mondadori Roberto Briglia, definisce degni di chi “non conosce vergogna”. Toni esasperati, che seguono anni di inattività e di isolamento. “È il prezzo che pagavo per le mie critiche”, spiega la Ciccioli, che racconta di essere stata confinata in un angolo della redazione, “tra vecchi scatoloni abbandonati dai giornalisti prepensionati”. Due lunghi anni, in cui Mulè accetta di pubblicarle un solo servizio, rifiutando le altre proposte o, peggio, passandole ad altri. “Chi porta una notizia non è detto che poi la scriva – la teoria di Mulè – La assegno io a chi voglio”. Una condanna all’inattività che la Ciccioli non accetta, preferendo un periodo di aspettativa non retribuita. “Ho dato fondo ai miei risparmi – racconta oggi – piuttosto che subire la sua prepotenza”. Poi, il 23 marzo scorso, arriva il licenziamento. Le parole utilizzate nella mail inviata al direttore editoriale vengono considerate “offensive e irriguardose nei confronti del direttore della Testata”, e la Mondadori interrompe il rapporto di lavoro.

La sentenza della sezione Lavoro del Tribunale di Milano, che dà ragione a Paola Ciccioli e applica l’articolo 18, obbligando la Mondadori al reintegro nel posto di lavoro. “Il giudice ha evidentemente ritenuto che l’espressione “non conosce vergogna” non fosse oltraggiosa – ragiona Livio Neri, rappresentante legale della giornalista – e che un giornalista deve essere libero di criticare anche aspramente il proprio direttore”. In attesa delle motivazioni del giudice, la Ciccioli commenta soddisfatta: “È stato riconosciuto un mio diritto, ma ancor di più è stato tutelato il mio dovere di giornalista di prendere sempre una posizione, a qualunque costo”.

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