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Gangnam, un incomprensibile caso di ipnosi collettiva

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Se fosse un attore, sarebbe una comparsa sudcoreana in un film del regista giapponese Takeshi Kitano (e Kitano lo farebbe morire subito). Come partecipante a Mai dire Banzai non avrebbe probabilmente sfigurato.

Non è bello, non è slanciato, non ha una voce particolare. Apparentemente non sa fare nulla. Eppure il rapper e ballerino PSY, trentacinque anni che sembrano cinquanta, già noto in patria per le coreografiche comiche e il senso spiccato dell’umorismo (garantisce Wikipedia), è da qualche mese uno degli uomini più famosi del mondo. La sua Gangnam Style è stata la prima canzone (parola grossa) a superare il miliardo di visualizzazioni su Youtube. E’ accaduto il 21 dicembre 2012. Ha generato flash mob, ha fatto ballare tutti (cioè, no: quasi tutti). E’ da mesi un tormentone mondiale virale. 

Gangnam è il quartiere più chic di Seoul, Style è qualcosa che qui non esiste: per scelta, s’intende. La domanda, benché odiosamente banale, sorge spontanea: perché? Su quali leve poggia un successo così smisurato? Di sicuro non nel testo, sia perché non tutti ne conoscono la traduzione sia perché – anche conoscendolo – rimanerne entusiasti risulta arduo: “Oppa è lo stile di Gangnam/ Una ragazza che è calorosa e umana durante il giorno/ una ragazza di classe che sa come godersi/ la libertà di una tazza di caffè/ Una ragazza il cui cuore si riscalda/ quando giunge la notte/ una ragazza sorprendente/ Io sono un ragazzo/ un ragazzo che è caloroso come te durante il giorno/ un ragazzo che manda giù il suo caffè/ ancora prima che si raffreddi/ un ragazzo il cui cuore scoppia/quando giunge la notte/ proprio quel tipo di ragazzo/ Bellissima, amabile/ Sì tu, hey, sì proprio tu, hey/ Adesso andiamo avanti fino alla fine/ Oppa è lo stile di Gangnam”. Eccetera).

Le ragioni, verosimilmente, risiedono altrove. Prima di tutto, si presume senza volerlo, PSY ha indovinato un ritmo ipnotico e fastidiosamente orecchiabile. Una sorta di riff del Diavolo, che non ha però nulla (purtroppo) in comune con quelli di Keith Richards. Più cerchi di staccarti da questa canzone (sempre parola grossa), più ne esci drammaticamente attratto. C’è poi un altro aspetto, addirittura preponderante: il ballo equino che PSY ha lanciato con il video. Cafonata autentica, evidente, esplicita. Una sorta di mix tra Nino D’Angelo nei b-movies quando danzava da tarantolato in discoteca, il Billy Ballo di Maccio Capatonda e l’Aserejè delle Las Ketchup. La cavalcata truzza di PSY, in piscina e in garage, in metropolitana e in ascensore, era troppo brutta per non affascinare il mondo intero. Gli occhiali da sole, le movenze da facocero in amore, il look da orafo scampato a un controllo Equitalia: osservando PSY, chiunque si sente autorizzato a dimenarsi. Peggio, di sicuro, non potrà fare. 

Gangnam Style è lo sdoganamento del cazzeggio basso (basso). Un Gioca Jouer globale. Un Pulcino Pio gigante, che nitrisce invece di pigolare. Oppa oppa.





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