A rileggere l’ultima memoria degli avvocati dello Stato, che hanno rappresentato il presidente Giorgio Napolitano, salta all’occhio la sovrapponibilità tra la richiesta dei rappresentanti del Quirinale e il dispositivo della Corte costituzionale che martedì sera ha accolto il ricorso contro la procura di Palermo. Una sovrapponibilità non solo nella sostanza ma anche nel linguaggio. Si legge nel comunicato della Corte: “Non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08”. Anche nella memoria integrativa dell’avvocatura dello Stato, datata 23 novembre, si possono leggere, a pag 36, le stesse parole, riferite al destino delle intercettazioni: “Si richiede alla Corte Costituzionale di dichiarare ‘che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo valutarne l’(ir)rilevanza”.

La Corte costituzionale ha scritto che alla procura di Palermo “neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3° comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sotto-posizione della stessa al contraddittorio delle parti”. E gli avvocati dello Stato hanno chiesto alla Corte proprio la distruzione delle intercettazioni: “Non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere, una volta acquisite le predette intercettazioni, di chiederne al Giudice l’immediata distruzione” (pag 41). Inoltre, hanno espresso la richiesta, pienamente accolta, della distruzione senza le parti interessate: “Chiede (alla Corte, ndr) di dichiarare altresì che la Procura della Repubblica di Palermo deve immediatamente attivarsi per chiedere al giudice la distruzione delle su indicate intercettazioni senza alcun contraddittorio” (pag. 36). L’unica richiesta che la Corte ha ignorato è quella dell’interruzione delle intercettazioni. L’avvocatura avrebbe voluto che la Consulta dichiarasse “che non spetta alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Palermo di omettere l’immediata interruzione delle intercettazioni telefoniche casuali del Presidente della Repubblica”.

Mai come adesso sono attese le motivazioni della sentenza su un conflitto che non ha precedenti (il presidente Oscar Luigi Scalfaro non lo sollevò per le sue intercettazioni indirette depositate nel 1997 dalla procura di Milano e pubblicate dal Giornale). Ma già dal dispositivo si comprende che la Corte ha ritenuto anche le telefonate con Nicola Mancino, ormai privato cittadino, come un atto del presidente della Repubblica nell’esercizio delle sue funzioni. O, come hanno scritto gli avvocati dello Stato, “un’attività preparatoria rispetto ad atti presidenziali”, e quindi coperta da immunità. Vittoriosi in questo conflitto, gli avvocati dello Stato fanno sorgere un dubbio: che il presidente Napolitano, per esporre con più forza la sua posizione davanti alla Corte costituzionale, possa aver accennato loro magari non il contenuto, ma le tematiche generali delle telefonate, rimaste finora segrete grazie alla procura di Palermo che non le ha né trascritte né depositate, ma ha conservato i file in una cassaforte. Gli avvocati, infatti, hanno supposto che le conversazioni con Mancino possano essere servite a Napolitano in vista della sua spinta al coordinamento delle inchieste sulle stragi del 1992-1993: “Le intercettazioni delle conversazioni del Presidente , pur se indirette e fortuite, sono dunque illegittime, perché effettuate in violazione della prerogativa di cui all’art. 90 Cost. Ancora di più se, come nel caso in questione, le conversazioni del Presidente della Repubblica siano state valutate come un contatto assolutamente lecito e, presumibilmente, preparatorio rispetto al successivo intervento con il quale il Quirinale… ha prospettato la necessità di salvaguardare esigenze di coordinamento rispetto alle diverse iniziative in corso presso varie Procure”.

Due pesi e due misure del capo dello Stato. Ha ritenuto “violate le prerogative della presidenza della Repubblica” e ha sollevato conflitto nei confronti della procura di Palermo. Ma non lo ha fatto nei confronti della procura di Firenze che nel 2009 si è imbattuta in intercettazioni telefoniche indirette di Napolitano con l’allora capo della protezione civile Guido Bertolaso. Intercettazioni che, come ha rivelato Repubblica, sono state depositate e trasmesse, per competenza, a Perugia dove da alcuni mesi si sta celebrando il processo contro la “cricca”.

La giustificazione riportata dagli avvocati dello Stato si trova in una nota della memoria illustrativa: “ Ciò è dovuto dalla circostanza che la Procura territorialmente competente non ha rilasciato in quell’occasione né interviste, né dichiarazioni in merito alla (ir)rilevanza di esse o all’inutilizzabilità successiva (come espressamente chiarito dal Presidente della Repubblica in occasione dell’inaugurazione dei corsi di formazione per i Magistrati Ordinari in Tirocinio avvenuta il 15 ottobre 2012 a Scandicci)”. Un primo riferimento è all’intervista del pm Nino Di Matteo a Repubblica in cui, su domanda della giornalista, il magistrato risponde semplicemente che “negli atti depositati (sono le conclusioni dell’inchiesta trattativa, ndr) non c’è traccia di conversazioni con il capo dello Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti”. Un secondo riferimento è al procuratore Francesco Messineo che in una lettera a Repubblica ha spiegato: “Alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della conversazione e con la autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, sentite le parti”. Dalla risposta al diverso trattamento riservato dal Quirinale ai magistrati di Palermo e di Firenze sembra che un conflitto tra poteri possa sollevarsi non in punto di diritto ma per un paio di dichiarazioni pubbliche, pure tecniche.

da Il Fatto Quotidiano del 6 dicembre 2012

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