'Che tempo che fa del lunedì' con Fazio e Saviano

Prima di tutto un giudizio, anzi un’impressione personale. A me la prima puntata del nuovo format feriale di Che tempo che fa è sembrata bella, molto bella: concentrata in una durata giusta, in uno spazio razionale, con una regia televisiva sempre brillante, con ospiti, come Aniello Arena, che avevano cose forti da dire e Saviano persino più efficace del solito, in un racconto più breve e inconsueto rispetto alle sue tematiche. Il finale poi, giocato sulla filastrocca jannacciana “Quelli che”, con l’ospitata di Gimondi e un paio di battute fulminanti di Paolo Rossi, era da urlo.

Ma non è andata bene: appena un 10%, ampiamente al di sotto delle due fiction delle reti ammiraglie, ben lontano dalle cifre a cui i prodotti della coppia Fazio-Saviano erano e ci avevano abituati. E allora di questo dobbiamo parlare, cercando di spiegare perché.

Faccio una serie di ipotesi che non si pongono in alternativa, ma si sommano. Sullo sfondo c’è la crisi della tv generalista, di cui si parla da anni ma che ora è arrivata in forme veramente vistose e che – secondo una mia vecchia idea – si sente maggiormente in un periodo in cui la stagione, quella atmosferica, non invita al consumo televisivo. Ieri, mentre mezza Italia era già in pieno autunno, l’altra metà viveva una bella serata estiva. Può sembrare banale questa mia osservazione, ma non tenere mai conto di quello che succede fuori dalla tv è un errore. Se poi un programma si chiama Che tempo che fa

Al di là delle battute, c’era anche una discreta concorrenza con due fiction popolari e già avviate e due talk che si sono ritagliati la loro fetta di pubblico. Poi c’è la spiegazione più specifica, riguardante il prodotto. La presenza di Fazio e Saviano insieme in onda è legata ormai indissolubilmente all’idea di evento: qualcosa di unico, dalla durata limitata e predeterminata (3, 4 puntate), irripetibile, imperdibile in quel momento e accompagnato da un’attesa degna di un’occasione eccezionale (spesso accentuata dalle polemiche di contorno). Trasformare questa eccezionalità in una consuetudine, che ci accompagnerà tutti i lunedì sera per un certo tempo, non è cosa facile e di immediata realizzazione per il pubblico.

Che potrebbe essersi trovato spaesato di fronte a un programma che non è il Che tempo che fa normale di un’ora, ma non è neppure la sua versione eccezionale alla Vieni via con me. Per cui ora niente processi, niente isterismi. Tempo al tempo e se la qualità sarà quella intensa e originale di ieri, alla fine pagherà. Magari non appena se ne sarà andato lo scirocco.

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