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Twitter in classe, ‘lezione’ al festival letteratura di Mantova

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C’è un luogo in Italia dove dovremmo portare i nostri alunni, dove vanno molti insegnanti: è il Festival della letteratura di Mantova che si è svolto in questi giorni per la dodicesima volta.

Il festival dovrebbe essere una delle mete dei viaggi d’istruzione dei nostri ragazzi, magari cambiando il calendario scolastico per consentire la partecipazione a questa stra – ordinaria “scuola” settembrina. A Mantova i bambini imparano ad amare la lettura, si avvicinano al mondo dei libri, affrontano i grandi temi della vita grazie all’incontro con autori: dall’imparare l’alfabeto ebraico, a diventare giornalista o il pagare le tasse. I ragazzi parlano di mafia con i magistrati, imparano a vendemmiare ascoltando le storie della prima vendemmia dell’umanità. 

Al festival della letteratura, i docenti, che hanno poche occasioni di fermarsi a riflettere, a confrontarsi, si incontrano durante la presentazione di libri come “In moto con mio figlio” di Fulvio Ervas e Franco Antonello, a parlare di autismo.

Bisogna venire a Mantova per sentir parlare di twitterletteratura con Serena Danna e finalmente sentire qualcuno che guarda oltre l’oggi comprendendo che strumenti come twitter possono essere utili anche in una classe magari per leggere La luna e i falò di Cesare Pavese con i canonici 140 caratteri,  32 capitoli in 32 tweet: idea della Fondazione intitolata allo scrittore. Sarebbe bello che la scuola italiana comprendesse l’importanza di questo festival della letteratura invitando nei giorni d’inizio dell’anno scolastico, i suoi insegnanti a formarsi partecipando all’iniziativa. Magari considerando formazione la loro partecipazione. Sarebbe stato significativo vedere al festival, anzichè alle feste del Partito Democratico, il Ministro dell’istruzione Francesco Profumo. Magari ad ascoltare qualche incontro.

Ma forse chiedo troppo ad una scuola che allontana i ragazzi dalla lettura obbligandoli a leggere senza capire che la parola obbligo dovrebbe essere eliminata. Preferisco parlare di una scuola della felicità e non di una scuola dell’obbligo. Di una lettura di piacere e non di un libro letto “per compito”.

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