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L’impossibile ritorno in un’Italia che non c’è

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La camicia è lisa, perché evidentemente viene indossata troppo spesso. Ma non sporca, beninteso, perché l’anziano signore italiano che ho incontrato su una panchina di Soho Square, a Londra, di dignità ne aveva da vendere. Non so nemmeno come si chiama, in realtà, perché nonc’è stato il modo di fare le presentazioni ufficiali. Semplicemente eravamo due italiani a Londra, sebbene con molte differenze. Io ho 32 anni, turista “olimpico”, istruzione alta, lavoro ben pagato e poca voglia di tornare in Italia. Lui di anni ne ha 81, vive a Londra da cinquant’anni, sopravvive con la pensione minima che gli dà il Regno Unito, viene dall’Appennino emiliano e di voglia di tornare in Italia ne ha tantissima, troppa forse, agli occhi di un trentenne che ha scarsa stima del suo paese.

Per prima cosa mi chiede se sono vere le cose che legge sui giornali inglesi, se l’Italia è davvero nel bel mezzo di una crisi nera, che più nera non si può. “Io non mi fido di loro”, mi dice. “Gli inglesi ci hanno sempre considerati poco più che spazzatura“. Quando io, abbassando lo sguardo, confermo il casino italiano e la situazione non certo rosea che vive il Paese, so già di dargli un grosso dolore. E infatti lo sguardo stanco di un uomo che per mezzo secolo ha fatto l’elettricista, il manovale, l’imbianchino e il custode al servizio della borghesia britannica, si vela subito di una evidente malinconia. E di lacrime trattenute a stento, per giunta. Poi prende coraggio, mi guarda fisso negli occhi e dice: “tranquillo, non è niente di grave. L’Italia ce la farà. Ce l’ha sempre fatta, anche in situazioni peggiori. Anche quando c’era quel porco di Mussolini. E anche quando rischiavamo di diventare servi di quell’altro porco di Stalin. Siamo un Paese ricco e lo saremo per sempre”.

Il suo terzismo ideologico è figlio di un buonsenso svanito, di chi doveva mettere insieme pranzo e cena nonostante le ubriacature ideologiche di un popolo volubile come il nostro. Io ribatto, tento di spiegare che l’arte di arrangiarsi stavolta forse non basterà. Ma lui rilancia con quello che mi sembra quasi un appello disperato: “Ti dico una cosa: qua si sta meglio, lo Stato ci passa tutto. Persino 25 sterline in più per il gasolio quando la temperatura scende sotto lo zero. Ma se potessi, io tornerei in Italia subito, adesso, con te. Tornerei sull’Appennino, che magari oggi non è povero come quando l’ho lasciato io. Tornerei per morire in quel paese bellissimo che mi manca tanto”. Le lacrime non si possono più trattenere e tira fuori un fazzoletto. Immacolato, stirato alla perfezione, e scommetto che profumerà pure di qualche vecchia acqua di colonia. Il mio interlocutore si ricompone, si alza e mi saluta: “Salutami l’Italia. Chissà se riuscirò a tornarci almeno da morto…”.

Già, chissà. E chissà anche se ne vale davvero la pena…

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