E’ il bilancio numero 130 quello appena pubblicato dalla Società italiana autori ed editori, firmato da Gianluigi Rondi, ultranovantenne, Commissario Straordinario.

Un bilancio che racconta di una società sull’orlo del baratro il cui management spara a zero su chi l’ha gestita sin qui e cerca disperatamente di dissimulare un disastro annunciato.

Lo si capisce subito, sin dalle prime parole con le quali il Commissario straordinario apre la relazione: “Le scelte strategiche operate dalla Gestione commissariale, soprattutto in materia di revisione dei contratti collettivi, patrimonio immobiliare, Fondo di solidarietà, Fondo pensioni per il personale di ruolo S.I.A.E., sono state in ampia misura atto dovuto in risposta a vuoti decisionali o carenze organizzative che, ove non rimediati, avrebbero potuto definitivamente porre a serio rischio un qualunque equilibrio dei conti della Società, al pari di ogni relativa prospettiva di stare al passo con i tempi.”.

Come dire che chi ha gestito sin qui la società lo ha fatto così tanto male da porne a rischio la sopravvivenza e da imporre alla nuova gestione commissariale interventi urgenti e straordinari.

Una gestione commissariale che prova a fare “la prima della classe” ed a raccontare, per la Siae, un futuro che non c’è, ricordando come si sia passati da un risultato negativo di oltre 18 milioni di euro nel 2010 ad uno positivo e come “il risultato ottenuto in soli nove mesi di Gestione commissariale dimostra che la Siae  può tornare strutturalmente e stabilmente in avanzo”.

Ma non è così.

Il bilancio 2011 è, infatti, “dopato” da proventi da “gestione non ordinaria” per quasi 50 milioni di euro, proventi senza i quali i risultati dell’esercizio 2011 sarebbero stati peggiori di quelli dell’anno precedente.

Facile, far quadrare i conti, attraverso un’operazione straordinaria ed irripetibile come il conferimento del patrimonio immobiliare dell’Ente in un fondo immobiliare e, soprattutto, la “svendita” di un credito – quello vantato nei confronti del Fallimento Lehman Brothers – al 31% del suo valore nominale.

Ed è proprio dalle polemiche seguite all’operazione di conferimento del patrimonio immobiliare – inclusa la sede principale della società che ci si ritrova oggi in affitto – nel fondo Norma che il Commissario Rondi, avverte l’esigenza di difendersi e difendere la gestione commissariale con un argomento che appare, ad onor del vero, davvero puerile: “l’operazione condotta a proposito del patrimonio immobiliare è la stessa che, proprio in questi giorni, il Governo del Prof. Monti ha annunciato a proposito del patrimonio pubblico quale misura centrale per l’ulteriore sistemazione dei conti pubblici e per la crescita del Paese”.

A prescindere dal fatto che non c’è ragione per ritenere che una cura per la finanza pubblica di un Paese sia necessariamente una buona cura per una società, a ben vedere, non c’è neppure nessuna prova – e sono in tanti a dubitare che ve ne sarà mai una – che le ricette del Professore varranno a risollevare l’Italia dalla crisi.

E’ però la vicenda del fondo di solidarietà a tenere banco nella relazione al bilancio d’esercizio 2011.

Le considerazioni del Commissario straordinario sul punto sono un j’accuse senza riserve – a tratti velato ed a tratti feroce e diretto – a quanti hanno avuto la responsabilità del fondo nell’ultimo ventennio ed agli stessi organi di controllo e vigilanza sulla Siae.

Tutti egualmente responsabili di aver consentito il perpetrarsi di una situazione di diffusa illegalità e, comunque, insostenibile dal punto di vista economico, tanto che – se la gestione commissariale non avesse assunto la decisione coraggiosa ed impopolare di interrompere tutti i sussidi in favore dei soci – la società si sarebbe presto ritrovata al tracollo.

Difficile non chiedersi come sia potuto accadere che, per decenni, una società sottoposta al controllo di tre diversi ministeri e della Presidenza del Consiglio abbia potuto agire nell’illegalità, violando, peraltro, reiteratamente una Sentenza dei Giudici amministrativi.

I numeri del bilancio, aggiungono poco o nulla e, soprattutto, sono assai poco originali e significativi per chi ha avuto la ventura – o sventura – di sfogliarne altri in passato.

Sono i numeri di una monopolista inefficiente che costa molto, ricava poco e vive, nella sostanza, di sussidi e privilegi riconosciutile dalla legge o dal cappellino di ente pubblico che indossa benché, i suoi azionisti, sempre più di frequente, rivendichino la natura privatistica così da potersi sottrarre ad ogni genere di controllo.

Quasi 85 milioni di euro sugli oltre 645 complessivamente incassati, infatti, provengono dal balzello sulla copia privata che la Siae incassa – sostanzialmente senza muovere un dito – su ogni vendita di supporti e dispositivi idonei alla registrazione di opere protette da diritto d’autore.

Un fiume di denaro sul quale la Siae ha tenuto per sé, nel 2011 – a titolo di “rimborso spese” – oltre 6 milioni di euro, un importo più alto del 595,5% rispetto a quello incassato nel 2010.

Poco più di 6 milioni di euro, invece, quelli che provengono dai c.d. “servizi di vidimazione”, essenzialmente legati alla gestione delle solite pecette adesive [n.d.r. i contrassegni Siae] con i quali, ancora nel 2012, si racconta, di voler combattere la pirateria.

Ma sono altre le voci del bilancio a lasciare di stucco ed ad imporre le riflessioni più severe.

Quasi 40 milioni è il gettito complessivo che Siae porta a casa dai c.d. “Servizi in convenzione” che svolge a soggetti terzi e che le vengono assegnati al di fuori di ogni gara, con l’alibi della casacca di “ente pubblico” che indossa e che – quando le conviene – è ben lieta di indossare, salvo poi volersela sfilare quanto indossarla significa doversi confrontare con i vincoli ed il sistema dei controlli che ne derivano.

Oltre 28 milioni di euro dei circa 40 complessivi derivano dalla Convenzione decennale in essere con l’Agenzia delle entrate che, tra l’altro, riconosce a Siae – ed è un fatto davvero sorprendente – 100 euro per ogni verbale di contestazione di violazioni elevato a prescindere che sia corretto o meno.

Oltre 3,5  milioni di euro per i controlli affidatile dall’Enpals e quasi 5 milioni per quelli relativi alle macchinette da gioco affidatile dall’Agenzia Autonoma dei Monopoli di Stato.

Un fiume di denaro che poco o nulla ha a che vedere con il diritto d’autore e, soprattutto, con le finalità istituzionali dell’Ente e che, pure, finisce con il sovvenzionare la Siae, garantendole non solo lauti guadagni ma anche la possibilità di incutere un autentico timore reverenziale nei confronti di tutti gli utilizzatori di opere coperte da diritto d’autore.

Circostanza – invero assai poco onorevole – della quale, tuttavia la gestione commissariale non fa mistero nella relazione a bilancio e pare, anzi, andare fiera: “L’efficacia e l’autorevolezza che la Siae. assume attraverso tali collaborazioni producono effetti sull’espletamento dell’attività squisitamente istituzionale di tutela del diritto d’autore, che acquista maggiore incisività e produttività, come confermano i livelli di raccolta del diritto d’autore, se raffrontati con quelli ottenuti dalle società consorelle estere che, come noto, non svolgono servizi di analoga natura.”.

Un vantaggio competitivo, dunque, ottenuto brandendo, nei confronti degli utilizzatori, la spada dei verbali di contestazione relativi a fisco, lavoro e gioco d’azzardo.

E poi un altro dato che lascia sconcertati, specie mentre l’Unione Europea raccomanda – e si avvia ad imporre – a tutte le collecting society di procedere, senza ritardo, al riparto dei compensi incassati: Siae, tra depositi bancari e disponibilità di cassa, ha liquidità per oltre 560 milioni di euro e investimendi per oltre 70 milioni.

Gli uni e gli altri, figli dei tempi biblici con i quali la società procede al riparto in favore degli aventi diritto di quanto incassato.

Basti dire che il bilancio relativo all’esercizio 2011, l’anno nero dei mercati finanziari in Italia e nel mondo, segna, per Siae, proventi per quasi 10 milioni di euro.

Sono questi i numeri e le parole di un dissesto che non esiste artificio contabile, operazione straordinaria finanziaria o immobiliare, né alchimia linguistica o lessicale che vale a nascondere.

E’ evidente che nei prossimi anni – complice la nuova disciplina europea – Siae perderà tutti i privilegi che le derivano dall’essere monopolista di Stato: niente più esclusiva nell’intermediazione della copia privata e nel rilascio del contrassegno [n.d.r. ammesso che debba ancora esistere], niente più faraoniche convenzioni decennali con altri enti pubblici, niente più proventi finanziari a 6 zeri perché gli incassi andranno celermente ripartiti.

Così, Siae, non potrà sopravvivere e non sarebbe sopravvissuta neppure all’esercizio appena chiuso.

Il conto è presto fatto.

Basta prendere il bilancio 2011 e sottrarre dal risultato i quasi 50 milioni di euro dovuti ad operazioni immobiliari e finanziarie irripetibili, i quasi 40 milioni derivanti dai servizi affidatile in convenzione ma estranei alle proprie finalità istituzionali, i quasi 10 milioni di proventi finanziari e gli oltre 10 milioni incassati a fronte di servizi di vidimazione e ci si ritrova con un bilancio negativo per oltre 100 milioni di euro che, centesimo più, centesimo meno, rappresenta la prospettiva alla quale la Siae si avvia ad andare incontro negli anni che verranno.

In questo, un’analogia tra la gestione commissariale che si autoproclama artefice di uno straordinario risanamento ed il Governo dei professori è forte: entrambi lasciano l’oggetto delle loro cure in condizioni identiche se non peggiori rispetto a quelle nelle quali lo hanno trovato.

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