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Quando Anm e Csm alzavano barricate

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Gli scioperi contro la riforma della Giustizia, targata Roberto Castelli, le proteste per gli ispettori facili inviati dallo stesso ministro leghista (a Milano in particolare per le indagini su Silvio Berlusconi); i documenti contro le leggi ad personam, le pratiche a tutela o i comunicati contro gli insulti a pm e giudici. Il sindacato dei magistrati, l’Anm, così come l’organo di autogoverno dei magistrati, il Csm, si sono sempre fatti sentire. Soprattutto dal secondo governo Berlusconi in poi.

Un sostanziale silenzio, però, è calato da giugno, quando le conclusioni dell’inchiesta palermitana sulla trattativa Stato-Cosa Nostra hanno fatto emergere il “conforto” del Quirinale a un testimone, divenuto poi indagato, Nicola Mancino. Mentre nei confronti dei pm di Palermo, che hanno prospettato (a torto o a ragione saranno i giudici a stabilirlo) una verità su quella famigerata trattativa a cavallo tra il ‘92 e il ‘93, l’unico “conforto” istituzionale che c’è stato è quello di un conflitto presidenziale davanti alla Corte costituzionale e l’avvio di procedimenti disciplinari. Eccezione a questo silenzio, un comunicato dell’Anm che critica la decisione del Csm di aprire un fascicolo contro il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato per la sua commemorazione di Paolo Borsellino. Nessun comunicato, invece, contro gli insulti al procuratore aggiunto, Antonio Ingroia, definito da Vittorio Sgarbi “uno che si inventa i processi e mette cimici nel c. di Napolitano”; dal senatore condannato per mafia, Marcello Dell’Utri “un ayatollah, un pazzo…” e dal leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, un magistrato di cui avere paura. Né il Csm ha aperto una pratica a tutela. Ma lo stesso Csm, correttamente, di pratiche a tutela di magistrati ne ha aperte parecchie quando Berlusconi e i ministri della Giustizia, Roberto Castelli, prima e Angelino Alfano poi, un giorno sì e un giorno no, insultavano soprattutto i magistrati milanesi che indagavano sull’ex premier. Il Cavaliere nel 2010 li ha definiti “la vera anomalia italiana”.

Ora silenzio e solo silenzio sul tentativo – fallito – del Procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani di far intervenire il Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso sui magistrati palermitani, dopo il pressing di Mancino sul Quirinale. Grasso, come ha raccontato al Fatto il 22 maggio, rispose per iscritto a Ciani che “nessun potere di coordinamento” poteva consentirgli “di dare indirizzi investigativi e ancor meno di influire sulle valutazioni degli elementi di accuse acquisiti dai singoli uffici giudiziari”.

Silenzio e solo silenzio anche sull’azione promossa dal pg Ciani, che potrebbe portare a un processo disciplinare davanti al Csm a carico del procuratore di Palermo, Francesco Messineo e del pm, Nino Di Matteo, per un’intervista del sostituto, uno dei titolari dell’indagine sulla trattativa. L’’unica voce che si è levata finora è quella dell’Anm locale. Ribadisce “stima e ’affetto per i colleghi… auspica una rapida definizione della vicenda, certa che il loro impegno proseguirà inalterato”. Una volta, però, l’Anm si è schierata contro un procuratore generale della Cassazione. Quando, nel luglio 2010, il pg, Vitaliano Esposito ha promosso l’azione disciplinare nei confronti del presidente della corte d’Appello di Milano, Alfonso Marra, coinvolto nella P3, senza chiedere una “misura cautelare”, il trasferimento per incompatibilità ambientale.

Il Fatto Quotidiano, 9 agosto 2012

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