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Roberto Formigoni, arroganza Celeste

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Roberto Formigoni dice di aver letto le carte e di non avere “nulla da temere”. Di fronte ai testimoni e ai documenti che, secondo l’accusa, raccontano la sua vita da nababbo finanziata per dieci anni da Pierangelo Daccò, il futuro ex governatore dei lombardi afferma spavaldo: “La corruzione dov’è? Io non l’ho trovata”. Un po’ come, qualche mese fa, non era riuscito a trovare, dopo aver promesso ai giornalisti di esibirle, le ricevute delle sue vacanze da jet set trascorse, a spese di Daccò, ai Caraibi, a Saint Tropez, in Costa Smeralda, a Montecarlo o su uno yacht di oltre 20 metri. Un Ferretti 70 sul quale, secondo i marinai, in una cabina di prua venivano sempre “custoditi gli effetti personali” di Formigoni “imbarcati all’inizio della stagione e portati via nel mese di ottobre”.

Il fatto che Daccò fosse un faccendiere capace di farsi liquidare più di 70 milioni di euro da gruppi sanitari convenzionati con la Regione non inquieta il Celeste presidente. E nemmeno i due partiti che ancora lo sostengono: la Lega e il Pdl. Eppure la vicenda Formigoni, ora arricchita da un invito a comparire, spiega bene almeno 200 dei 500 punti di spread che separano l’Italia dalla Germania.

Formigoni, infatti, resiste sulla sua poltrona perché qui la politica, che pure continua ad attaccare la magistratura, ha totalmente demandato ai giudici il compito di selezionare le proprie classi dirigenti. I comportamenti dei leader da noi non contano. Contano (qualche volta) i reati, che però possono essere accertati (giustamente) solo al termine di un processo.

Il principio di elementare prudenza che, nelle democrazie mature, spinge partiti e istituzioni a escludere dalla vita pubblica chi non è in grado di chiarire le sue frequentazioni o giustificare le proprie ingenti spese, in Italia non vale.

Risultato: a Berlino il Presidente della Repubblica, Christian Wulff, si dimette in febbraio per un prestito a tassi di favore alla moglie e cinque giorni di vacanza finanziati da un produttore cinematografico (287 euro per notte). A Roma come a Milano, a destra come a sinistra, migliaia di piccoli o grandi Formigoni, invece imperano e montano in cattedra, arroganti. I Daccò di turno fanno lievitare la spesa pubblica. E il Titanic Italia va, placido, verso il naufragio. La crociera intanto non la offre un lobbista-faccendiere. A pagare sono solo i cittadini.

Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2012

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