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Scuola per giudici ‘padani’ a Bergamo, dal ministero della Giustizia un no definitivo

Il 24 novembre scorso, in occasione dell'insediamento del comitato direttivo dell'istituto, il guardasigilli ha evidenziato l'esistenza di "problemi logistici e di sostenibilità finanziaria". In questi giorni la svolta, che ha fatto andare su tutte le furie Comune e Provincia

Scuola per giudici ‘padani’ a Bergamo, dal ministero della Giustizia un no definitivo
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Niente scuola per i giudici padani. E’ un ‘no’ definitivo alla scuola di magistratura a Bergamo, tanto cara a Umberto Bossi e Roberto Calderoli, quello arrivato ieri da Roma via raccomandata. Il ministero della Giustizia ha informato l’Opera Sant’Alessandro, proprietaria dei locali in cui doveva tenersi la scuola per gli aspiranti giudici, della volontà di rescindere l’affitto della sede, costato più di un milione di euro a Comune, Provincia, Ministero e demanio. Dal 14 settembre i corsi avranno una sede sola, a Scandicci.

La disdetta del contratto ha fatto innervosire Franco Tentorio, sindaco Pdl di Bergamo, ed Ettore Pirovano, presidente leghista della Provincia. “Io spero solo ci sia l’occasione di fargliela pagare: nessuno ha mai preso in giro la gente bergamasca in questo modo”, ha tuonato il primo, mentre per il secondo si tratta di “un insulto al buon senso, ma anche alla sensibilità e all’attaccamento alle istituzioni della gente bergamasca”.

Dal 2008 al 2010 le due istituzioni hanno speso 240mila euro ciascuna per pagare l’affitto di un’ala del collegio vescovile Sant’Alessandro, struttura rimasta inutilizzata e priva di mobilio. Comune e Provincia avrebbero anche investito altro denaro per compare banchi e armadi pur di garantire il futuro del progetto. Poi dalla fine del 2010 lo Stato si è fatto carico delle spese pagando alla Opera Sant’Alessandro altri 550mila euro. Un totale di un milione e 30mila euro di soldi pubblici finiti alla Curia di Bergamo.

Nelle scorse settimane a Bergamo c’era anche l’intenzione di presentare un esposto alla Corte dei conti, ma ora sembra più probabile che Tentorio e Pirovano chiedano un incontro ufficiale al ministro Severino. L’istituzione della Scuola superiore della magistratura era in progetto dal 2006, quando il governo la istituì con il decreto legge del 30 gennaio. Erano previste tre sedi, per Nord, Centro e Sud. Al Nord la sede sarebbe stata a Bergamo. Il 18 agosto 2010 Bossi la battezzò come “la prima scuola leghista di magistratura del Nord”. “I giudici li educhiamo noi”, aveva detto quel giorno il Senatùr aggiungendo che i magistrati si fanno “i cazzi loro e noi i cazzi nostri”, mentre un tempo tra le due parti scorreva “un certo feeling”. Feeling venuto a mancare negli ultimi mesi.

La proposta era stata spalleggiata da altri due leghisti, l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli, che da guardasigilli nel settembre 2008 firmò l’accordo con la Curia di Bergamo per l’affitto, e dal bergamasco Roberto Calderoli: “Una scuola di magistratura come quella che aprirà a Bergamo vuol dire la possibilità di avere magistrati padani in Padania, mentre adesso vengono per la maggior parte da fuori”, annunciava trionfalmente nel 2010 esprimendo il Bossi-pensiero: “Io mi sento più sicuro se vado a farmi giudicare da un magistrato che capisce il mio dialetto”, aveva affermato il senatur un anno fa, il 18 giugno 2011, alla presentazione della Scuola mai entrata in attività.

Poco dopo l’insediamento del ministro Paola Severino la situazione è diventata chiara. Il 24 novembre scorso, alla sua prima uscita pubblica in occasione dell’insediamento del comitato direttivo della scuola, il guardasigilli ha evidenziato l’esistenza di “problemi logistici e di sostenibilità finanziaria” per le tre sedi. Poi ha detto di essere “pienamente consapevole che il Csm ha manifestato la sua contrarietà a che le tre sedi siano destinate ad operare con distinte competenze territoriali fondate sulla diversa provenienza dei magistrati da formare”. Il vicepresidente del Csm Michele Vietti preferiva invece differenziare la formazione in base alle sedi. Una soluzione su cui, forse, le istituzioni potrebbero convergere. Soldi permettendo.

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