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Morigerati a nostra insaputa

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Siccome i carnevali ci piacciono assai, al summit di Rio de Janeiro noi ci siamo andati in tanti: la delegazione italiana era formata da 240 (non è un errore di stampa, è proprio duecentoquaranta) persone. Molti a carico dalle loro aziende, un centinaio spesati dallo Stato.

Ci doveva essere anche il premier Monti, che all’ultimo ha rinunciato. In compenso c’è andato il governatore della Lombardia Formigoni, come lui stesso ha ricordato ieri in un’esilarante conferenza stampa. Durante la quale oltre a spiegare com’è evidentemente impossibile che lui sia indagato senza esserne informato (urge lezioncina di procedura penale) ha pure confuso per la seconda volta (la prima su Twitter, ma “è stato un errore di battitura”) il Brasile con il Messico, dove si svolgeva il G20: urge anche un ripassino di geografia. Ma insomma, ha spiegato il governatore, lo sbaglio è dovuto al combinato disposto di jet lag+volo disagevole: “Ho viaggiato in economy e il sedile reclinabile era rotto”.

Altro stile quello dell’amico filantropo Don Verzé che raggiungeva la sua lussuosa fazenda brasiliana con il jet privato, pagato 20 milioni di euro (dal San Raffaele). Altri voli quelli offerti dal faccendiere Daccò, tipo quel famoso Milano-Parigi alla modica cifra di 8mila euro per due persone… A Rio, Formigoni aveva incontrato gli indios che protestavano (spettacolari le immagini), mentre il ministro dell’Ambiente Corrado Clini faceva parlare di sé per una dichiarazione “ecologica” al Corriere della Sera in cui si diceva disposto a ridurre “il limite delle trivellazioni da 12 a 7 miglia dalla costa”.

Così avremo eleganti spiagge vista trivella, mai più senza. Da neo-ministro, nel dicembre scorso, Clini si era segnalato per una giusta dichiarazione contro l’esenzione dell’Ici per gli immobili a uso non religioso della Chiesa: “Il segno di un superamento di privilegi che non hanno più posto”. E qualche mese dopo che succede? Si ritrova a capo della delegazione “monstre” che, ha scritto “Dagospia”, fa impallidire la missione in Cina di Craxi e famigli. Era il 1986 quando Andreotti infiammò con una battuta le polemiche sul viaggio di amicizia del presidente del Consiglio socialista: “Vado in Cina con Craxi e i suoi cari…”. Ovvero la moglie, i figli Stefania e Vittorio, la di lui fidanzata, gli amici Carlo e Marina Ripa di Meana.

Abitudine che naturalmente non sarebbe stata trascurata neppure nella Seconda Repubblica di B. con i famosi voli di Stato stracolmi di ragazze, cantanti, nani e ballerine. Poi non c’è stato più modo di mettere la crisi economica sotto il tappeto ed è arrivato il morigerato governo tecnico che però non sempre riesce a rinunciare agli apparati scenici del potere: basta vedere il numero di auto con cui si è presentato Monti (che pure ha rinunciato al compenso per il suo mandato da premier) ai terremotati dell’Emilia, dove infatti è stato contestato a suon di fischi. Non ci si azzarda qui a chiedere alle “sobrietà ministeriali” di andare a lavorare in bicicletta come fanno il sindaco di Londra Boris Johnson e molti suoi collaboratori.

Ma di capire e dimostrare che davvero il tempo di sprechi e privilegi è finito, sì. Almeno in segno di rispetto per un Paese terribilmente impoverito che si sente sempre più impaurito e fragile.

Il Fatto Quotidiano, 24 Giugno 2012

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