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Per tornare serve un futuro, non l’art.18

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In Italia nell’ultimo periodo, a volte con più esposizione mediatica, altre con meno, continua ad andare avanti la discussione sulla riforma del lavoro che vede coinvolti Partiti, Sindacati, Confindustria, giornali etc. Sarebbe interessante se non fosse che una grandissima parte del dibattito è bloccata sull’art.18.

So bene che la sua rimozione o modifica non c’entrano niente con la competitività, né con l’ingresso al lavoro dei giovani, ma da Italiano all’estero ho trovato francamente insopportabile l’accanimento sul si o no all’art.18 (insopportabile da ambo i lati), come insopportabili continuo a trovare tutte le battaglie per mettere cerotti a questo sistema che è ormai rotto.

Sono uno di quei fortunati che, avendo una laurea in Ingegneria Informatica, un lavoro lo trovava sempre. Tuttavia lo stipendio basso, la scarsa dignità del lavoratore, l’impossibilità di poter comprare una casa propria, il continuo avvelenamento dell’ambiente e cementificazione del territorio dove sarei voluto crescere, avere figli ed invecchiare, la scarsissima lungimiranza politica locale e nazionale, l’informazione sorda e muta ed blocco totale dell’ascensore sociale mi hanno fatto completamente perdere la visione di un futuro sereno e sostenibile.

Così ho fatto le valigie ed insieme alla mia compagna nel 2009 me ne sono andato in Uk. Non sono nel miglior Paese del mondo ma sicuramente in un posto dove mi ero già sentito molto più rispettato in una breve, precedente esperienza da cameriere.

Qui l’art.18 non c’è ma il rispetto ed una visione di futuro sì e quando – spesso – penso a come e se tornare in Italia penso proprio a questo e penso che vorrei poter immaginare l’Italia tra 20 anni in una nuova, serena e stabile posizione.

L’accanita lotta per il mantenimento dello status quo (l’art.18 è solo un esempio) ed il tentativo di trovare soluzioni sporadiche e francamente ridicole come ad esempio quelle per i cervelli in fuga (qualunque cosa questo significhi), continuano a rubare spazio ed energie alla ricostruzione di quel futuro che ci è stato rubato, di quel futuro che è stato distrutto, mentre credo di parlare a nome di tanti miei coetanei quando dico che per il futuro vogliamo un nuovo modello sociale.

Sono uno dei tanti che vorrebbe tornare, ma per farlo vorrei che nella nostra Italia si parlasse di dignità e modalità del lavoro, potere d’acquisto, rifiuti zero, energia rinnovabile, industria culturale ed artistica, impresa sociale, ricerca ed innovazione, crescita qualificata, reddito minimo garantito, social housing, valorizzazione della diversità. Vorrei che si uscisse da questo infinito momento di stallo.

Vorrei cioè un Paese che avesse il coraggio di rilanciare i dadi, giocarsi lo status quo (che decisamente non è da sogno) e fare un progetto nuovo che sia valido per i prossimi 30-50 anni. Un signore più famoso di me diceva che “Ci vogliono pensieri lunghi”.

di Riccardo Cocetta, Analista, Sviluppatore Software a Londra

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