Da sinistra gli autori di "Der Kulturinfarkt" Armin Klein, Stephan Opitz, Dieter Haselbach, Pius Knüsel

Basta coi sussidi pubblici alla cultura distribuiti a pioggia: la metà di tutti i musei, i teatri e le biblioteche tedesche andrebbe chiusa e le risorse così liberate andrebbero concentrate su un numero ristretto di istituzioni culturali, in quanto la politica delle sovvenzioni seguita finora ha finito per creare un sistema autoreferenziale e immobile. È la tesi contenuta in Der Kulturinfarkt, “L’infarto culturale”, un libro che arriverà oggi nelle librerie tedesche, ma da settimane sta già provocando un acceso dibattito in Germania. A scriverlo sono stati quattro esperti del settore: Dieter Haselbach, professore di sociologia all’università di Marburgo e direttore del “Centro di ricerca sulla cultura” di Bonn, Armin Klein, professore di management culturale a Ludwigsburg, Pius Knüsel, numero uno della fondazione culturale svizzera Pro Helvetia, e Stephan Opitz, responsabile del dipartimento Affari culturali al ministero dell’Istruzione del Land tedesco dello Schleswig-Holstein e professore di management culturale all’università di Kiel.

Secondo i quattro l’idea della “cultura per tutti”, quel principio che è stato lanciato in Germania negli anni Settanta e che ha fatto sì, ad esempio, che dal 1981 ad oggi il numero dei musei nella Repubblica federale sia quasi triplicato, è fallito. L’offerta culturale cresce, mentre la domanda diminuisce, dal momento che, malgrado le sovvenzioni, gli utenti di cultura non sono aumentati. Stato, Länder e Comuni tedeschi, ricordano, investono oggi quasi dieci miliardi di euro all’anno per mantenere 6.300 musei, 140 teatri, 8.200 biblioteche, un migliaio tra conservatori e “università popolari”. Ormai il settore culturale tedesco “è a un passo dall’infarto, soprattutto ci sono troppe cose e sono quasi ovunque le stesse”.

Per i quattro le sovvenzioni pubbliche, così come state concesse finora, hanno provocato la cristallizzazione di strutture culturali prive di flessibilità, pronte a difendere i loro privilegi e a fare a gara per assicurarsi altri finanziamenti. L’attuale politica tedesca dei sussidi rappresenta pertanto un ostacolo all’innovazione, in quanto contribuisce a conservare l’esistente e blocca la sperimentazione di nuove e più moderne forme di produzione e distribuzione. “I politici preferiscono inaugurare un nuovo museo e fondare un nuovo festival piuttosto che chiedersi il senso di quelle manifestazioni” hanno scritto i quattro esperti in un commento pubblicato sul settimanale Der Spiegel.

Tesi come queste non potevano che scatenare un vivace dibattito in un Paese che si autodefinisce volentieri “Kulturnation” e che non ha tagliato gli investimenti nazionali alla cultura neanche in tempi di incertezze economiche. Quest’anno il bilancio del delegato del governo tedesco per la cultura Bernd Neumann è salito per il settimo anno di fila. E persino un Land come Berlino, che ha oltre 60 miliardi di euro di debiti sulle spalle e percepisce ingenti aiuti dalle altre regioni tedesche, vuole aumentare nel 2012 e nel 2013 il suo bilancio culturale.

Le reazioni alle proposte contenute nelle 280 pagine del libro vanno praticamente tutte nella stessa direzione: quella di un secco no alle richieste dei quattro. Chiudere la metà dei teatri e dei musei «costerebbe anche in termini di identità», chi suggerisce di farlo «non solo danneggia la Germania come nazione culturale, ma è anche un pessimo patriota», ha risposto sull’ultimo numero dello Spiegel André Schmitz, sottosegretario alla Cultura del Land di Berlino. Così, ha aggiunto, «non si risolvono i problemi fiscali». Si tratta di una “pura provocazione”, ha commentato Barbara Kisseler, ministro della Cultura del Land di Amburgo. Secondo la Deutscher Bühnenverein, l’organizzazione che riunisce i gestori pubblici e privati di teatri e orchestre, le idee dei quattro esperti dimostrano nient’altro che la loro “ignoranza” sul funzionamento del sistema culturale.

La loro proposta significherebbe per teatri e orchestre “30.000 manifestazioni e 10 milioni di spettatori in meno, nonché il licenziamento di 19.000 dipendenti, la cui disoccupazione verrebbe tra l’altro pagata alla fine coi soldi pubblici”. Dimezzare le istituzioni culturali porterebbe a “un’erosione della memoria culturale di una nazione”, ha detto alla Dpa (un’agenzia di stampa tedesca) il direttore dei Musei di Norimberga, Matthias Henkel. E giù di questo tono, con responsabili di musei o teatri uniti nel definire le tesi dei quattro una “sciocchezza” o una mossa “populista”. Gli autori de L’infarto culturale”, dal canto loro, si difendono: non vogliamo un dimezzamento dei fondi, bensì puntiamo solo a una loro redistribuzione, per creare un sistema più efficiente e innovativo.

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