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La giustizia sociale che fa bene all’economia

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Vorrei consigliare un libro, anche se lo faccio con ritardo, sperando vi sia già capitato tra le mani.

Si tratta di The Spirit Level, Why More Equal Societies Almost Always Do Better, ed è scritto da due epidemiologi, Richard Wilkinson e Kate Pickett.

Se non lo avete già letto, fatelo al più presto.

Ne scrivo ora perché proprio ieri ne riguardavo i grafici: lo rileggo spesso, per compagnia nel (frustrante) viaggio controcorrente rispetto al pensiero conservatore che al momento domina in UK e in Europa. Non che abbia bisogno di convincermi, ma la potenza dei numeri mi rincuora e mi conforta.

Sono convinta che questa crisi sia la scusa di cui i conservatori approfittano per far accettare politiche reazionarie. Convinta ancora di più quando Mario Draghi, il Governatore della Bce, ha dichiarato sul Wall Street Journal che l’Europa sociale è morta. Insomma, sarebbe morta l’idea per cui i lavoratori si tutelano, le donne vengono pagate quanto e come i maschi… e via di seguito.

Il libro che ho citato fa una diagnosi ineccepibile delle società ad alto tasso di disuguaglianza: la vita è più corta, più infelice e meno sana. Ci sono più violenza, disuguaglianza, obesità, dipendenza da droghe, e le relazioni tra individui sono poverissime.

Non che siano novità; ma il libro ne tratta in modo scientifico, esaminando una miriade di dati. Ne emerge che nelle società inique stanno male tutti, non solo i più poveri.

Dicono gli autori: ‘Ci troviamo ansiosi, sull’orlo della depressione, guidati solo dal consumo e con poco interesse per gli altri’.

E davvero il libro all’inizio è terribilmente deprimente; ma si chiude con una nota positiva. Gli autori sostengono infatti che una società capace di rimuovere i propri ostacoli alla disuguaglianza – divari salariali eccessivi, poco welfare, scarso investimento sull’istruzione – sarà capace anche di liberare il proprio potenziale umano.

Ci siamo abituati in questi mesi al fatto che non vi sia alternativa all’austerità. Che sia inevitabile che tutti paghino le conseguenze della crisi. In UK, addirittura, il Primo Ministro Cameron dice che siamo ‘all in this together’, quando invece si sa benissimo che i tagli colpiscono i meno abbienti, le donne e i giovani, mentre i manager continueranno a percepire salari stratosferici, anche in presenza di bilanci in perdita.

I diritti dei lavoratori vengono attaccati, come se la crescita fosse limitata dalle regole contro i licenziamenti ingiusti. Si tagliano i servizi, come se fosse positivo per l’economia rinchiudere le donne in casa. In UK, sanità e istruzione sono diventati terreni ‘up for grabs’ per il settore privato.

Io credo che ci sia bisogno della politica per reagire in modo efficace a questo stato delle cose.

Non a caso la battaglia di Hollande, in Francia, non è solo contro Sarkozy, ma anche contro la finanza, e contro coloro che lo vogliono dipingere come un uomo pericoloso, dalla facile spesa pubblica. Ne parla l’Economist qui.

Il terreno dello scontro politico, in Francia come nel resto d’Europa, è complesso, ma non può essere evitato. È in gioco la dignità di milioni di persone. Ed è forse proprio su questo terreno che si potrà misurare un moderno progressismo, magari ritrovando la propria ragion d’essere dopo la proclamata scomparsa delle ideologie.

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