“Verdetto totalmente incomprensibile”: è questo il commento alla sentenza Eternit che compare sul sito di Stephan Schmidheiny, il magnate svizzero condannato a sedici anni (insieme al barone belga Louis De Cartier) al termine del processo di Torino per le morti da amianto. “Stephan Schmidheiny – si legge – non è stato in nessun momento membro del board o proprietario di Eternit Italia, e non ha avuto funzioni esecutive”. Nella nota si legge che Seg (la Eternit svizzera) ha finanziato con 60 milioni di franchi svizzeri, tra gli anni Settanta e Ottanta, interventi di sicurezza dei luoghi di lavoro e della modernizzazione della produzione. “Le tecnologie per queste misure – si sostiene – erano in accordo con le conoscenze medico-scientifiche dell’epoca e con i più alti standard possibili applicabili nell’industria. Tutti questi interventi furono adottati per migliorare la salute e la sicurezza nelle fabbriche”.

La nota ricorda che “fino alla bancarotta di Eternit Italia, nel 1986”, l’industria, la comunità scientifica e le autorità (come l’Organizzazione mondiale della sanità) erano d’accordo sul fatto che “’l’uso controllato’ dell’amianto fosse possibile” e che le autorità italiane, all’epoca, non avevano alcuna normativa specifica. “In Italia – conclude la nota – l’amianto venne vietato solo nel 1992”. Quanto al procedimento in sè  l’accusa mossa a Stephan Schmidheiny al processo Eternit “non è menzionata nel codice penale italiano e, quindi, sembra che sia stata inventata”. Si tratta di una delle “violazioni” che, si sostiene, in Svizzera avrebbero portato alla sospensione del procedimento. “Le imputazioni – si afferma – sono estremamente vaghe e imprecise. Il pubblico ministero accusa gli imputati di ‘non aver preso azioni per eliminare un disastro’. Tuttavia questa imputazione non è menzionata nel codice penale italiano e, quindi, sembra che sia stata inventata”. “Questo – continua la nota comparsa sul sito – viola la fondamentale regola secondo cui ‘non ci sono sanzioni senza una leggè, che fu stipulata nell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani”.

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