Perché, per quanto banale, retorico, fastidioso possa apparire a chi non può fare a meno del cinismo “prêt-à-porter”, la voce di Whitney Houston, la voce perfetta che ha fatto ballare, innamorare e incantare le nostre gioventù spensierate, non smetterà di brillare.

Whitney Houston è morta alle 6.55 ora della East Coast in un hotel di Beverly Hills dove si trovava per partecipare, poche ore più tardi, ad uno dei party che precedono la serata dei Grammy Awards. A scoprirne il decesso la sua guardia del corpo, una bodyguard che non è riuscita a salvarla perché non era Kevin Costner e questo non era un film. I Grammy sicuramente, stasera, saranno la sua celebrazione, il suo ricordo, il suo trionfo e il suo arrivederci, così come lei lo avrebbe voluto. Con la meraviglia e l’incanto delle note.

Whitney è ora libera. Dai suoi demoni e dalla necessità di combatterli. Quei demoni che spingono ancora troppe “stelle” a non riuscire a brillare troppo a lungo in questo mondo. E non è solo questione di soldi e successo. Sono le ombre mortali che avvolgono chi si avvicina alla droga o all’alcol in maniera irreversibile, troppo spesso non per cercare la felicità, ma per smettere di sentire l’infelicità. Smettere di sentire il dolore, smettere di sentire il male di vivere.

Whitney è stata la golden girl e il suo sorriso ci ha illuminato a lungo, quanto e più della sua voce. E  e ci piacerebbe stasera, ai Grammy, sentire Dolly Parton cantare per lei I will always love you.

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