Dal consuntivo pubblicato al termine dell’ultima riunione della Uefa a Nyon, un documento di 124 pagine intitolato ‘Lo Scenario sul Calcio Europeo di Club‘, che prende in esame i risultati finanziari di oltre 650 club (il 90 per cento) di massima divisione delle 53 federazioni nazionali affiliate, risulta che il calcio europeo non se la passa troppo bene. Certo, c’è da sottolineare che negli ultimi cinque anni il tasso di crescita delle entrate del calcio ha superato quello del Prodotto Interno Lordo in 49 dei 53 paesi le cui federazioni sono affiliate alla Uefa. Certo, nel 2010 le entrate complessive dei club nelle massime divisioni sono salite del 6,6 per cento rispetto al 2009 e sono arrivate a toccare la cifra record di 12,8 miliardi di euro. Eppure la situazione non è rosea.

Come spiega il segretario generale della Uefa Gianni Infantino, all’aumento dei ricavi è corrisposto anche un aumento delle perdite: “Il problema è che anche i costi sono aumentati, da 13,3 miliardi di euro (2009) a 14,4 miliardi (2010)”. In questo modo le perdite nette aggregate nell’anno 2010 ammontano alla cifra record di 1 miliardo e 641 milioni di euro, con un aumento del 36 per cento rispetto alle perdite dell’anno 2009. Questo è dovuto non tanto alle spese operative – il monte ingaggi si è assestato infatti su una media del 64 per cento del fatturato (anche se per alcuni club supera il 100 per cento) – quanto dalla riduzione dei profitti derivanti dai trasferimenti dei calciatori: anche il calciomercato ha cominciato ad accusare la crisi globale. Dall’analisi si evince inoltre che il 29 per cento dei club presi in esame ha un rapporto di 12 euro spesi per ogni 10 euro di ricavi, e che il 56 per cento ha chiuso i bilanci dell’anno 2010 in perdita. Percentuale che sale al 75 per cento se si prendendo in considerazione solo i ‘top club’, quelli con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro. Inoltre vi è una situazione debitoria complessiva che supera gli 8,4 miliardi di euro, questo nonostante negli ultimi 5 anni i vari ‘benefattori’ abbiano investito versato nelle casse dei propri club oltre 3,4 miliardi per contenerne le perdite.

Una situazione che per molte squadre significa l’approssimarsi della bancarotta. Come uscirne? Per Gianni Infantino è possibile solo tramite il ben noto sistema del fair play finanziario. In vigore da quest’anno è un sistema di valutazione triennale che obbliga le squadre a non avere passivi di bilancio superiori ai 45 milioni, escluse le spese definite ‘virtuose’ come quelle relative allo sviluppo degli stadi e dei settori giovanili. Al termine della stagione 2013/14 saranno presi in esame i bilanci del 2011 e 2012 (il primo è biennale, poi passerà a triennale) e chi sgarra paga. Si va dalle multe, alle penalizzazioni fino alla possibile esclusione dalle competizioni continentali: Champions League e Europa League. Oggi sarebbero 13 le squadre attualmente iscritte alla Champions o all’Europa League che non potrebbero parteciparvi. “Il fair play finanziario è necessario – ha detto Infantino -. Queste regole sono in vigore per aiutare i club, ma anche i tifosi, per creare un ambiente sano e positivo. Il fatto che queste regole siano state approvate all’unanimità ha dimostrato che le società sono mature e responsabili”.

Oppure le società sono riuscite ad ottenere che le sanzioni derivanti dalla mancata osservazione delle regole sul fair play non siano automatiche. Basta dimostrare un comportamento virtuoso, ovvero l’impegno a ridurre la situazione debitoria, per poterle evitare. E poi c’è sempre la possibilità di appellarsi ai vari tribunali europei per la libera concorrenza. Da ultimo va detto che, nonostante il nome fair play dovrebbe far presupporre equità, è possibile rientrare nei parametri con donazioni e ricapitalizzazioni. O con vari escamotage. Valga l’esempio del Manchester City (che oggi, se il fair play fosse in vigore, rientrerebbe nei 13 club che non potrebbero partecipare alle competizioni europee) che a luglio ha venduto per 150 milioni il nome del suo stadio per i prossimi 15 anni alla Etihad Airways: la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, con sede ad Abu Dhabi, controllata dalla stessa famiglia (reale) proprietaria del club. Alla fine il fair play finanziario rischia di interessare tutti tranne i ricchi.

Articolo Precedente

Federer, Martone e
gli sfigati

next
Articolo Successivo

Calcio no profit, squadre senza scopo di lucro

next