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L’omicidio della democrazia

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L’omicidio, a Roma, di una bambina di sei mesi e di suo padre, Zhou Zeng, di 31 anni, per rubare 5000 euro, lancia la capitale nel baratro della violenza. Dopo l’impressionante bilancio di 33 morti ammazzati del 2011, Roma finalmente torna capitale di qualcosa in Europa: degli omicidi.

Certo, parlare dal Messico, in cui nei primi 5 giorni dell’anno sono state già assassinate orribilmente 15 persone, per continuare fin da subito ad essere i numeri uno in qualcosa, è come dire che a Roma sono dei pivelli. È come dire che quei “banditi”, che il sindaco Alemanno e tutti i suoi sgherri additano a responsabili di tanta violenza, sono dei principianti.

La morte di una bimba di sei mesi a cui un vigliacco ha sparato in testa per derubare (e uccidere) suo padre, è però anche l’indicatore del fatto che le cose stanno cambiando, anche nella borghese Roma. Quello che si riesce a vedere da questa parte del mondo, dove da anni tutti viviamo con la consapevolezza che prima o poi può toccare a te, a prescindere da quello che fai o che eviti di fare, è che l’Italia sta pericolosamente alzando il suo livello di tolleranza nei confronti di questo tipo di violenze. La deriva che vive da circa sei anni il Messico, in cui ormai per fare rumore devi per lo meno squartare i corpi dei morti ammazzati e spargerli per la città, o farne fuori un minimo di dieci, sta arrivando anche in Italia. E Roma, in mano a Camorra e ‘Ndrangheta tanto come le città messicane sono in mano ai cartelli della droga, si sta abituando all’orrore. Oltre a non essere adeguata la risposta delle forze dell’ordine, che negli ultimi tempi si sono tristemente distinte più per casi di violenze su giovani in carcere, come nel caso di Cristian De Cupis o per le brutali repressioni di manifestazioni di studenti e operai che per un lavoro al fianco e a protezione dei cittadini, è quella dell’opinione pubblica che mostra i segnali più preoccupanti.

In Italia è la società, sono le persone, che stanno perdendo la capacità e il diritto di indignarsi, di pretendere giustizia, di alzare la testa di fronte a violenze così brutali da parte di banditi, come di chi dovrebbe garantire e difendere la democrazia.

Ed è uno dei problemi più gravi e profondi che vive il Messico da anni, dove la violenza e la sopraffazione, l’orrore e la corruzione, non si sono imposti soltanto a causa di una cattiva gestione delle istituzioni, cosa che peraltro non è mai terminata, ma soprattutto per una rinuncia, da parte del popolo messicano, a lottare per difendere la propria vita e la propria dignità di cittadini.

A Roma, come in Messico, quando si lascia spazio a questa violenza, come a una mattanza di senegalesi a Firenze, come un incendio in un campo rom a Torino, si sta uccidendo la democrazia e la civiltà stessa.

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