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Non è un Paese per giornalisti

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Non è un Paese per vecchi titolavano i fratelli Coen nel film tratto dal romanzo di Cormac McCarthy. Non è un Paese per giornalisti verrebbe da dire invece constatando quanto sia difficile diventare un giornalista in Italia.

Mesi fa, in modo provocatorio, avevo aperto una discussione – nel gruppo dell’Ordine dei Giornalisti su Linkedin – chiedendo se nel nostro Paese fare il giornalista sia una professione, e se lo è com’è possibile che non esistano offerte di lavoro.  Una trentina di risposte, anche di giornalisti professionisti, mi confermavano che gli unici annunci di (non) lavoro sono quelli che solitamente terminano con “non è prevista retribuzione”. “Mai imbattuta in annunci seri che riguardassero la nostra professione. Impossibile anche trovare le mail degli uffici del personale e davvero raro vedere sui siti delle testate una sezione lavora con noi”, posta Carlotta Spera – Responsabile Ufficio Stampa presso FMSI (Federazione Medico Sportiva Italiana- CONI). “Ho cominciato a fare questo lavoro quindici anni fa e non ho mai trovato una collaborazione attraverso la risposta ad un annuncio” scrive invece Simone Fattori – giornalista professionista collaboratore a Radio 24.

La differenza con l’Inghilterra è notevole sia in termini di accesso alla professione, sia nel modo in cui i giornali ricercano e assumono il personale.  Jim Munro (Direttore dell’edizione sportiva on-line di The Sun, ed ex Direttore del Sunday Times Magazine) mi spiega come funzionano ad esempio i work experience scheme. “La maggior parte dei giornali in Inghilterra organizza, o organizzava, corsi per diplomati e laureati che vogliono iniziare una carriera da giornalista. Si comincia dal gradino più basso come fattorini, ma è un’esperienza che permette di prendere confidenza con la professione e di capire come funziona l’industria dall’interno. Ho curato personalmente alcuni corsi con ragazzi che sono poi tornati in redazione come apprendisti giornalisti, iniziando la propria carriera in un quotidiano nazionale”.

Sostanziale è anche la differenza col mercato del lavoro. Sui siti gorkana.comjournalism.co.uk, ogni settimana vengono pubblicati annunci di lavoro anche di quotidiani nazionali. Dal Times al Telegraph, dal Guardian all’Independent, dal Daily Mail al Sun la ricerca di personale avviene attraverso annunci reperibili on-line come in qualunque altro settore. “In Inghilterra esistono specifiche leggi che garantiscono pari opportunità a chi vuole avvicinarsi alla professione. E’ doveroso che il processo attraverso il quale i quotidiani assumono i propri dipendenti sia trasparente e aperto a tutti”, commenta ancora Munro.

Come i nostri quotidiani assumano i propri giornalisti è un mistero. Obsoleto invece è il sistema attraverso il quale l’Ordine dei Giornalisti regola il “praticantato”. Nel 2010 sono stati più che raddoppiati (da 2 a 5 mila euro a biennio, mentre in Inghilterra l’Albo non esiste) i contributi che gli editori dovrebbero versare (spesso pagati invece dai ragazzi) ai giovani per presentare domanda d’iscrizione come pubblicista. Il tutto per poi accedere a un mercato del lavoro che non esiste.

Di Andrea Tancredi, giornalista freelance a Londra

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