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Trasporti e crisi: vendere i gioielli di famiglia?

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E’ emersa a più riprese sui giornali l’ipotesi di vendere, cioè privatizzare, le aziende comunali che forniscono servizi. Si badi, questo non ha nulla a che vedere con la socialità dei servizi stessi: anche servizi totalmente gratuiti possono essere prodotti da privati, se l’amministrazione decide di sovvenzionarli al 100%. Sono circolate stime (molto incerte, si veda il mio ultimo intervento su Lavoce.info) che parlano di 35 miliardi di ricavi possibili.

Quali sono questi sevizi? Nel settore dei trasporti, si tratta di aziende di trasporto pubblico possedute o partecipate dagli enti locali, infrastrutture di trasporto aereo o autostradale, ferrovie locali e nazionali. Perché vendere? Per fare cassa, e anche per ridurne i costi per la mano pubblica. Ma bisogna subito distinguere: alcune di queste aziende perdono soldi, e quindi ovviamente sono sovvenzionate, altrimenti chiuderebbero, altre fanno lauti profitti, e alcune sono come i “panettoni di stato”, cioè non si capisce perché siano pubbliche (come le società di ingegneria, caso esemplare la MM milanese, ecc.). Vediamo le principali caso per caso.

Il trasporto locale, su gomma e su ferro, è fortemente sovvenzionato (circa al 70%, con i soldi dei contribuenti). Abbiamo infatti le tariffe più basse d’Europa. Le autostrade fanno un sacco di profitti, sono una specie di “galline dalle uova d’oro”, e un buon numero è pubblico o semi-pubblico. Per gli aereoporti la situazione è più variegata: in generale fanno eccellenti profitti, ma alcuni piccoli perdono. Le Fs ricevono moltissimi soldi dallo Stato tutti gli anni (in media 6 miliardi all’anno negli ultimi 10 anni). Le società di navigazione (ad esempio Tirrenia) sono fortemente sovvenzionate.

Ora, in questi casi cosa si “venderebbe” in realtà? Se si vende un’impresa che perde soldi, il privato comprerà, giustamente, la garanzia di non perdere, cioè la garanzia di ricevere sovvenzioni adeguate per un lungo numero di anni. Cioè in realtà si vende principalmente la garanzia delle sovvenzioni pubbliche, non esattamente un buon affare (proprio nel caso di Tirrenia l’assurdità della cosa è emersa chiaramente).

E se invece si vende un’impresa che guadagna, per esempio un’autostrada, cosa si vende? Quella impresa guadagna non perché è più innovativa o più efficiente di un’altra, come avviene sul mercato, ma perche ha un regolatore pubblico che gli concede tariffe troppo alte, a danno dei viaggiatori. Cioè quella impresa incassa una “tassa occulta”. Ma vendendola, il suo valore dipenderà proprio dai suoi guadagni, che dovranno essere garantiti ai privati per lunghi anni. In questo modo si avrebbe certo un solido guadagno per il venditore pubblico, ma a prezzo della certezza di una tassa occulta per i cittadini, tassa i cui ricavi verrebbero trasferiti ai privati.

Non parliamo poi del vendere solo una quota di queste società (mantenendo per esempio il 51% pubblico): la peggiore delle soluzioni. Infatti l’inefficienza che si vorrebbe combattere viene in genere proprio dall’interferenza pubblica nella gestione (ade esempio: aumenti e assunzioni sotto elezioni, fornitori “amici” ecc.). Come dicono gli anglosassoni, i privati facciano i privati, e il pubblico faccia il pubblico.

Che fare allora? Non ci sono scorciatoie: occorre prima valorizzare queste società mettendole in gara, in modo che diventino innovative ed efficienti, e con un forte “regolatore pubblico” (un’Autorità indipendente) che difenda gli utenti. Solo allora si potrà valutare se vendere o no, ma gran parte dell’obiettivo sarà già stato raggiunto. Ovviamente da subito vanno vendute le attività che non ha senso mantenere pubbliche (ad esempio, le società di ingegneria ecc.).

E nella prossima puntata parleremo della “madre di tutte le aziende pubbliche” nei trasporti: le Ferrovie dello Stato.

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