La proposta leghista sembra una delle più vecchie del mondo. Quasi quanto il mestiere che vorrebbe legalizzare. Nei primi anni della presenza del Carroccio in consigli comunali, regionali e in Parlamento o nelle amministrazioni cittadine arriva anche l’idea di rivedere la legge Merlin (Legge 20 febbraio 1958, n. 75) che aboliva le “case di tolleranza” istituendo i reati connessi allo sfruttamento e al favoreggiamento della prostituzione. Ordine pubblico, lotta al degrado e alla criminalità le motivazioni ricorrenti, ma anche il bisogno di fare cassa.

Basta tornare alla fine dell’ottobre 1992 quando il Corriere della Sera dà la notizia della proposta di un consigliere comunale di Vobarno (Bs), Ivan Stefani, per rimpinguare le casse comunali adibendo il teatro comunale a casa di tolleranza. Il segretario provinciale Daniele Roscia smentisce tutto: “battute salaci di due consiglieri comunali del nostro movimento, che volevano ironizzare pesantemente sulla difficile situazione di bilancio provocata a Vobarno dalla gestione dei partiti tradizionali”.

L’8 settembre 1994 l’onorevole leghista Luigi Rossi vuole trovare una soluzione all’ “incremento di forme di sessualità anomala”. Come? Il governo dovrebbe ricorrere alla legislazione d’urgenza per fronteggiare il fenomeno riaprendo in primo luogo le case di tolleranza perché la legge Merlin, “si è dimostrata un cancro spaventoso, che ha provocato terribili metastasi alle nuove generazioni”.

Il 31 luglio 1995 in Consiglio regionale a Milano, dieci eletti del Carroccio presentano una mozione per riaprire i bordelli. Poche settimane dopo la proposta arriva in parlamento: il 18 agosto nove deputati della Lega, primo firmatario Mario Borghezio, si schierano per il divieto della prostituzione in luogo pubblico e propongono l’istituzione di un registro comunale per poter esercitare la professione in privato. In Lombardia l’idea torna il 4 marzo 1998, quando il gruppo leghista al Consiglio regionale della Lombardia propone di abolire la legge Merlin, non riaprendo le vecchie case chiuse, “dove le donne venivano schiavizzate” (precisava Fabrizio Fracassi), ma degli ‘appartamentini’ chiusi, con un massimo di tre prostitute, così da “ufficializzare il mestiere più vecchio del mondo con diritti, doveri e quindi una tassazione proporzionale ai guadagni raccolti”.

Tra il 13 e il 14 gennaio 1996 circa cinquecento riminesi firmano la proposta, avanzata dalla Lega Nord di Rimini, di riaprire le ”case chiuse”. Per i rappresentanti cittadini l’eliminazione del sesso a pagamento sui marciapiedi libererebbe i viali turistici della città dalla presenza delle prostitute provocando un ritorno d’immagine della Riviera romagnola.

L’8 luglio 1996 13 consiglieri comunali di Milano, tra cui sei leghisti, chiedono la riapertura delle case di tolleranza. La proposta viene ripetuta nella primavera 2007 sempre dalla Lega insieme ad alcuni consiglieri dell’allora “Casa della libertà”.

L’11 luglio 1996 l’allora segretario nazionale della Lega Lombarda Roberto Calderoli propone di rivedere la legge Merlin perché l’istituzione di case chiuse può “essere utile effettuare controlli sanitari e d’identità attraverso strutture e sedi fisse, consapevoli comunque che questa sarebbe una soluzione precaria poiché gran parte delle prostitute vivono in una condizione di illegalità e ci troveremmo quindi ad avere le strade piene di prostitute e, nel contempo, le case di tolleranza”. Torna sull’argomento il 26 novembre 2009: “Bisogna ripristinare le ‘case chiuse’. Le prostitute devono pagare le tasse. La proposta di riaprire le case chiuse e creare quartieri a luci rosse è per noi di assoluto buonsenso”.

Nel 1999 la Lega lancia l’idea di un referendum per abrogare la Merlin. La proposta arriva in Cassazione dove alcuni esponenti depositano la richiesta per la consultazione popolare. Tra i promotori c’è Borghezio: “La gente delle grandi città come Torino non ne può più di vedere strade, corsi e parchi invasi da ogni genere di prostitute e dai loro clienti e supporters egualmente incivili”. Si aprono spaccature all’interno del Movimento. Per l’allora senatore della Liga Veneta Antonio Serena “l’idea che Bossi ha della società, forse quella della Padania, sembra essere proprio un gran casino”. Gli risponde Stefano Stefani, presidente federale della LN: “Mi dispiace che il senatore Serena non abbia potuto vedere con i propri occhi come funzionavano le case chiuse. Se l’avesse fatto non avrebbe fatto certe dichiarazioni”.

La situazione si ripete il 7 maggio 2002, quando Bossi propone di istituire zone ‘protette’ nelle grandi città per l’esercizio della prostituzione. La maggioranza non accoglie bene l’idea, ma il 20 dicembre si arriva al disegno di leggeFini-Bossi-Prestigiacomo”: no alla prostituzione in strada, no allo sfruttamento, anche se “cessa di essere reato di favoreggiamento la locazione a prezzi di mercato di appartamenti nei quali si eserciti la prostituzione”, è scritto nel testo. Altre proposte arrivano nelle prime settimane dell’insediamento del nuovo parlamento nel 2008: il 29 e il 30 aprile i leghisti Matteo Brigandì e Carolina Lussana depositano due disegni di legge per regolamentare la prostituzione: sì all’“esercizio solo in abitazioni private, in comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, previa comunicazione al questore competente per territorio”.

A metà settembre 2008 Luigi Serafin, capogruppo leghista al Comune di Jesolo (Ve), vuole “puntare sulla riapertura delle case chiuse a Jesolo”: “Siamo pronti a raccogliere firme, sentire il ministro Maroni e fare tutto quanto sia necessario per sfruttare questo momento storico che di fatto rimette in discussione la legge Merlin”. Jesolo, spiega, è “una città turistica con spazi e locali adeguati da riconvertire per aprire case chiuse del tutto legali e con pagamento delle tasse”.

Il 6 dicembre 2009 il sindaco di Villa Faraldi (Imperia) Giacomo Chiappori, ex parlamentare leghista, lancia un salvagente alle prostitute: “Apriamo le case sfitte del Comune per dare loro asilo e, nello stesso, per contribuire a risollevare le sorti economiche del nostro Comune, senza più dover rapinare i cittadini con gli autovelox o i parcometri”.

Nei primi giorni dell’aprile 2010 il vicesindaco di Brescia e assessore alla Sicurezza di Brescia Fabio Rolfi chiede di istituire un registro delle case chiuse “per togliere l’anonimato che protegge chi consapevolmente affitta gli immobili alle prostitute”, ma anche per “scoraggiare il fenomeno della prostituzione” e “verificare la regolarità dei contratti di locazione, il rispetto dei regolamenti comunali e delle ordinanze sindacali”.

Il 13 giugno 2010 il sindaco di Albenga Rosalia Guarnieri dice “sì alle case chiuse dove le prostitute possono esercitare la loro professione liberamente, censite, controllate e quindi senza costrizioni da parte delle organizzazioni criminali”.

A metà settembre 2010 Daniele Marchetti, referente del Carroccio di Imola, raccoglie 102 firme in un giorno a favore della proposta sulla riapertura delle case chiuse: “Credere in una società senza prostituzione è un’utopia”, dice.

Domenica 24 ottobre 2010 il Gazzettino annunciava l’unione d’intenti tra il vicesindaco di Treviso Giancarlo Gentilini e il primo cittadino veronese Flavio Tosi sulla riapertura dei bordelli. “Siamo chiari, sono contrario alla casa chiusa di vecchia concezione, gestita dallo Stato – precisa Tosi -. Basterebbe copiare la normativa di Olanda, o Germania, dove le prostitute lavorano in casa e si autogestiscono”.

Il 28 giugno scorso il capogruppo del Carroccio al Comune di Udine, Luca Dordolo afferma: “Visto che sembra impossibile debellare il mestiere più antico del mondo è meglio certamente che avvenga in casa, a meno che ciò non comporti la commissione di reati”. Propone poi di “regolarizzare il fenomeno per renderlo accettabile, dal punto di vista igienico, sanitario e anche fiscale. Chi esercita la prostituzione è bene che paghi le tasse”.

A metà settembre il sindaco di Montrucchio Maggiore (Vi) Milena Cecchetto si dice “sempre più convinta della necessità della riapertura dei bordelli”. “Inutile trincerarsi dietro a facili moralismi che neppure competono alle Istituzioni – continua -: la prostituzione esiste ed esisterà sempre. Appare evidente che non è sufficiente controllarla, occorre regolamentarla”.

Il 28 settembre scorso al Consiglio comunale di Desenzano il capogruppo leghista Rino Polloni ha proposto di abrogare la legge Merlin per riconoscere il ‘meretricio’ “come attività professionale rilevante ai fini tributari (Iva, Irpef) e previdenziali”.

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