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Napolitano e la casta del Consiglio di Stato

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Ieri, nell’ambito delle cerimonie per il 180° anno dalla istituzione del Consiglio di Stato, il presidente Napolitano ha sottolineato lo scadimento del processo legislativo, segnalando come un contributo positivo potrebbe essere dato dall’impiego, come consulenti e collaboratori, dei consiglieri di Stato, nell’ambito dei vari ministeri.

Parole significative, che meritano una riflessione.

Infatti i Consiglieri di Stato sono magistrati amministrativi, in tutto un centinaio, che hanno già “colonizzato“ la maggior parte delle istituzioni repubblicane. Oltre a fare i giudici svolgono in una percentuale preoccupante (in relazione all’arretrato dei processi) anche il doppio lavoro, talvolta addirittura in posizione di fuori ruolo (cioè senza scrivere sentenze, ma percependo comunque lo stipendio), come ha denunciato addirittura Milena Gabanelli nella trasmissione Report.

Tra questo centinaio di privilegiati dipendenti pubblici, in particolare, vi sono ben tre presidenti di Authorithy (Calabrò, Catricalà, Santoro), numerosi componenti di Authorithy (Botto, Carbone), un ministro (Frattini), il segretario generale della Presidenza della Repubblica (Marra e, prima di lui, Gifuni), vice-segretari generali della Presidenza del Consiglio dei ministri, i capi di gabinetto e degli uffici legislativi di quasi metà dei Ministeri, giudici costituzionali. È così da sempre e non è una novità: il Consiglio di Stato è forse la “casta” più potente e meno conosciuta d’Italia.

Questa commistione di funzioni ha già fatto discutere gli addetti ai lavori, perché incrina il principio fondamentale di separazione dei poteri (giudiziario, legislativo ed esecutivo) su cui si fonda la nostra Repubblica: allo stato, infatti, in capo alle stesse persone (i consiglieri di Stato) si accumulano ormai spesso le funzioni giudiziarie con quelle amministrative.

E allora… c’è proprio bisogno di attribuire loro anche un ruolo “legislativo”, chiamandoli a collaborare nel processo formativo delle leggi? Ciò, peraltro, senza considerare che il cosiddetto codice de Lise, in materia di appalti pubblici, e il codice Salvatore, in materia di processo amministrativo (entrambi predisposti da commissioni speciali presiedute e composte prevalentemente da Consiglieri di Stato), non hanno davvero dato buona prova di sé, costringendo a successivi rimaneggiamenti e ponendo enormi problemi interpretativi, oltre che sospetti di gravi contrasti, addirittura, con la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.

Non vi è forse il rischio di una pericolosa concentrazione di poteri in capo a una sorta di “oligarchia” che, formalmente incaricata di un ruolo tecnico, di fatto influenza sensibilmente (proprio in considerazione della scarsa competenza della politica, cioè lo “scadimento” denunciato da Napolitano) i vertici istituzionali nelle funzioni amministrative e legislative (che si sommano a quelle giurisdizionali)?

A mio avviso il tema sollevato dal presidente Napolitano, lungi dall’essere trascurato, dovrebbe divenire un’occasione per lo studio, anche sotto il profilo costituzionale, degli equilibri che realmente oggi dominano il Paese e dei rischi che ciò può comportare.

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