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“L’induzione alla prostituzione non iniziò a Messina”: gup respinge tesi di Fede e Minetti

Secondo il giudice Maria Grazia Domanico, in occasione del concorso di bellezza del settembre 2009 in Sicilia quello del giornalista fu solo un 'interessamento' e non il punto di partenza della presunta condotta illecita
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Il direttore del Tg4 Emilio Fede

A settembre 2009, durante il concorso di bellezza in provincia di Messina, “quello di Fede per l’allora minorenne marocchina era solo un ‘interessamento’ dal quale non può dedursi che l’imputato abbia in quella occasione persuaso, convinto, spinto, aiutato, favorito la minore ad avere rapporti sessuali con Silvio Berlusconi in cambio di denaro o altre utilità”: è questa la tesi con cui il gup Maria Grazia Domanico ha respinto la richiesta dei legali del giornalista, che chiedeva il trasferimento del procedimento nel capoluogo siciliano perché proprio lì avrebbe preso corpo l’ipotesi di reato. Con la stessa motivazione, inoltre, il giudice dell’udienza preliminare ha smontato la posizione dei legali di Nicole Minetti, che collegavano “in modo suggestivo” alcuni “presunti contatti telefonici” (presunti perché non trovano riscontro negli atti) tra Emilio Fede e Ruby con una sentenza della Cassazione per sostenere che l’origine della induzione alla prostituzione minorile stia in quelle telefonate tra il direttore del Tg4 e la ragazza, quando lei partecipò a un concorso di bellezze in Sicilia.

L’inizio della presunta condotta illecita, quindi, per il gup è da fissare a dicembre 2009 e non, come chiedevano le difese del direttore del Tg4 e dell’ex igienista dentale del premier, tre mesi prima, in occasione della sfilata di miss a Sant’Alessio Siculo, nel Messinese. Proseguendo la lettura dell’ordinanza, inoltre, la decisione dipende dal fatto che “non vi sono elementi probatori in tal senso e, del resto, ciò risponde anche ad una interpretazione logica e ragionevole, avuto anche riguardo alle modalità con cui avvenivano i primi contatti tra gli imputati e le ragazze coinvolte e alla natura dei reciproci rapporti, bene posti in luce in diversi verbali di sommarie informazioni testimoniali”. L’atteggiamento di Fede nei confronti di Ruby, quindi, fu al più “una condotta prodromica alla consumazione del reato, come tale penalmente non rilevante in quanto rimasta nella sfera intima e di pensiero dell’imputato, poiché dagli atti non emerge una condotta di Fede attiva ed esplicita così come descritta dalla norma incriminatrice”.

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