L'ingresso del centro commerciale di Westfield

Fra lo sport e il business il confine è sempre stato molto labile. Ma il centro commerciale Westfield Stratford City che ha aperto martedì scorso a Londra – il più grande d’Europa – sembra confondere totalmente le due cose. Innanzi tutto perché per percorrerlo tutto bisogna fare letteralmente chilometri, in una maratona che la società australiana che lo ha costruito auspica che sia soprattutto di shopping. Ma, soprattutto, perché il Westfield Stratford City sarà la porta obbligata verso le Olimpiadi del 2012, visto che per arrivare allo stadio, al velodromo e ai tanti altri siti costruiti per i giochi, bisognerà passare obbligatoriamente attraverso le sue imponenti “arcade”, quattro piani di balconate a mezza luna contornate da satelliti di negozi, negozi e ancora negozi.

Gli shop sono più di 300. Settanta fra bar, ristoranti etnici – dove per “etnico” si intende anche tre o quattro pizzerie “really Italian” – e fast food. Un casinò aperto 24 ore su 24, inaugurazione prevista a novembre. Ancora, quattro hotel, migliaia di parcheggi, una stazione dell’Underground dove si incrociano diverse linee di metro e di treni, e persino Stratford International, dove dall’anno prossimo si fermeranno gli Eurostar diretti a Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Francoforte sul Meno. Tutto questo è il nuovo “mostro” dello shopping targato UK. Dentro, ogni cosa immaginabile e marchi soprattutto britannici. Fuori, tanta ammirazione, tanta gente in coda in questi primi giorni di apertura ma anche tante polemiche.

Era veramente necessario unire indissolubilmente la pace olimpica con la guerra dei portafogli? Che fine farà il vero spirito dello sport e di una manifestazione in grado di unire centinaia di milioni, se non miliardi di persone davanti alla televisione? Fra le tante polemiche che hanno interessato queste Olimpiadi – da quella sul logo a quella del sistema di prevendita dei biglietti, che non ha accontentato tutti – questa è quella che più rischia di minare l’immagine di London 2012. Un editoriale sul London Evening Standard di qualche giorno fa ha lanciato le danze. E ora in televisione e sui giornali cosiddetti “di qualità” è acceso il dibattito fra pro e contro. Tanto che persino il Guardian ha titolato «Incoraggiante? O un’immagine dell’inferno?».

Eppure, va detto, Westfield Stratford City significa anche diecimila nuovi posti di lavoro in una Gran Bretagna che soffre come tutti gli altri paesi. La disoccupazione è arrivata all’8%, circa 2,5 milioni di persone nel Regno Unito sono senza un lavoro, soprattutto donne e giovani. La multinazionale che ha costruito questa nuova mega bomboniera dello shopping ha oltre mille centri commerciali nella sola Australia, qualche centinaio negli Stati Uniti e tre in Gran Bretagna. E ha investito nel WSC ben 1,5 miliardi di sterline. Tutto è avvenuto in un quartiere a maggioranza islamica e povero, uno dei più poveri di Londra, su un terreno che fino a qualche anno fa veniva usato come deposito per vagoni ferroviari dismessi. Dal degrado urbano allo scintillio delle vetrine – e gli ingegneri hanno persino pensato a una continua vetrina infinita, senza pilastri in mezzo – con buona pace per i tuffi carpiati, il lancio del giavellotto, il calcio e il sollevamento pesi.

«Inferno o paradiso?», appunto. Di sicuro le prime ore di apertura sono state un paradiso per le imprese che pagano grosse cifre per avere i propri negozi a Stratford. Martedì l’inaugurazione ufficiale era alle 10 del mattino, ma già dalle 7 migliaia di persone erano in coda nel piazzale davanti alla stazione della metropolitana, in attesa di poter camminare con il naso all’insù fra i vari Hugo Boss, Lush, Marks and Spencer, Boots e Starbucks Coffee. Un trionfo di business anglosassone e americano. Almeno rinfrancherà lo spirito degli atleti e dei tifosi delle Olimpiadi – bisognosi di fratellanza interetnica – il poter mangiare la pizza napoletana, il sushi giapponese, il cibo di strada vietnamita, i piatti composti caraibici e persino gli arancini siciliani.

di Matteo Impera

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