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La Gran Bretagna si accaparra il petrolio
delle Falkland. Polemica con l’Argentina

Scoperto negli abissi dell'arcipelago un giacimento capace, secondo le prime stime della compagnia inglese che lo utilizzerà, di produrre l’equivalente di 350 milioni di barili di greggio. Ma la zona è ancora rivendicata da Buenos Aires
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I britannici hanno messo a segno un colpo non da poco nella corsa al petrolio atlantico grazie al successo della compagnia inglese Rockhopper Exploration, che dopo oltre un anno di ricerche ha scovato negli abissi dell’arcipelago delle Falkland-Malvinas un giacimento di petrolio decisamente ghiotto. Capace, secondo le prime stime della Rockhopper, di produrre qualcosa come l’equivalente di 350 milioni di barili di greggio.

Per riuscire dove molti altri prima avevano fallito, le trivelle britanniche hanno dovuto farsi spazio fino a 2696 metri di profondità nelle acque del Sea Lion, a sud dell’arcipelago controllato dal 1833 da Londra. E ancora rivendicato dall’Argentina nel quadro di una contesa pronta a riaccendersi davanti alle prospettive di una caccia al greggio sempre più promettente.

La compagnia britannica, intanto, non ha perso tempo e dopo l’annuncio della scoperta ha già fornito una prima stima delle attività per i prossimi anni. Le estrazioni potrebbero iniziare già nel 2016, e a regime, secondo quanto riporta la Bbc, le piattaforme della Rockhopper potrebbero produrre qualcosa come 120mila barili di greggio al giorno già dal 2018. Un piano ambizioso per il quale serviranno circa 2 miliardi di dollari. Se questi obiettivi fossero confermati farebbero delle Falkland un nuovo importante centro petrolifero nel quadrante atlantico.

Quanto di peggio potrebbe trovarsi dinnanzi agli occhi il governo argentino, che neanche dopo la rovinosa invasione delle Falkland nel 1982 ha smesso di rivendicare la sovranità dell’arcipelago. Non a caso, dai primi giorni delle trivellazioni nel 2010, Buenos Aires ha mostrato un certo nervosismo, intensificato le dichiarazioni di protesta fino a introdurre una misura ad hoc che prevede, per ogni mezzo in partenza dai porti nazionali e diretto alle Falkland, l’obbligo di un’autorizzazione preventiva da parte delle autorità argentine.

Non solo. Il presidente argentino Cristina Fernandez de Kirchner ha fatto di più nei mesi scorsi, lasciando da parte ogni diplomazia e arrivando a bollare il primo ministro britannico, David Cameron, come un “arrogante” per aver rifiutato senza mezzi termini di negoziare ogni giurisdizione riguardante le Falkland. Per il governo argentino, l’iniziativa britannica sarebbe solo un “tentativo di impadronirsi illegalmente delle risorse naturali rinnovabili”.

In più, dettaglio non trascurabile, la decisione di Londra nell’autunno scorso, a pochi mesi dall’inizio delle trivellazioni, di avviare una serie di esercitazioni militari nell’arcipelago, con tanto di test missilistici, non aveva fatto altro che inasprire le relazioni, già parecchio tese.

Tutto farebbe pensare, ora, che Buenos Aires non abbia alcuna intenzione di mollare la presa e che sia pronta a tornare alla carica visto il ghiotto bottino che le compagnie britanniche potrebbero mettersi in tasca nei prossimi anni. Secondo la stessa Rockhopper, infatti, il sottosuolo dell’arcipelago potrebbe regalare altre allettanti sorprese.

Del resto quel tratto di acque atlantiche è costantemente battuto da sei compagnie britanniche come la Desire Petroleum e la Falkland Oil&Gas che non hanno, al momento, avuto la stessa fortuna della Rockhopper. Ma che gli ultimi avvenimenti potrebbero spingere a rilanciare con più vigore le ricerche.

di Tiziana Guerrisi

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