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Su 25 aprile e 1 maggio, vendetta ideologica

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Ideona contro la crisi: abolire il Primo maggio e il 25 aprile. S’intende: insieme al 2 giugno. Chi l’ha avuta, l’idea, dice: uno, sono tre giorni in più di lavoro, tre giorni di Pil in più; due, è una misura che non costa niente; tre, sono comunque le tre sole feste che si possono spostare, se non cancellare, perché le altre sono religiose e obbligatorie per trattato (con il Vaticano).

Ma siamo sicuri che sia una buona idea? Io credo di no. Anche per motivi economici: l’Italia sta faticosamente sviluppando un’economia del turismo diffusa e svincolata dalla stagionalità; e le tre feste che si vorrebbero sopprimere (accorpandole alla domenica) sono occasioni d’oro di vacanze e, perché no, anche di “ponti”, che sono opportunità di “fare fatturato” per una rete amplissima di alberghi, agriturismi, ristoranti e, in generale, imprese grandi e piccole dell’industria del turismo e delle vacanze. Non è vero dunque che si tratti di una riforma a costo zero. Per guadagnare tre giorni di Pil, si penalizza un settore importante per il Paese come quello del turismo. Siamo sicuri che alla fine i conti tornino?

Ma poi, via, quest’idea di abolire Primo maggio e 25 aprile mi sembra, in definitiva, una furbata politica. Anzi, di più: una vendetta ideologica. L’Italia, come dice il magistrato Francesco Greco, “è un Paese offshore”. Invece di far pagare gli evasori, chi governa vuol far pagare i soliti. Poi, già che c’è, ci aggiunge una piccola mossa furba: approfittando della crisi, si prende una rivincita ideologica, cancellando le due feste delle bandiere rosse, il 25 aprile della Liberazione dal fascismo e il Primo maggio dei lavoratori. L’idea, non espressa apertamente ma fatta passare con la scusa della crisi, è che si tratti di due fastidiosi residui di un secolo passato, di un passato finito, di una storia da dimenticare.

Invece 25 aprile e 1 maggio, con il 2 giugno festa della Repubblica, contribuiscono a costruire l’identità di una nazione, a dare anima al nostro tricolore. I simboli sono importanti: sarebbe doloroso cancellarli proprio nell’anno di una ritrovata unità nazionale attorno ai festeggiamenti per i 150 anni di questo Paese.

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