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L’America in ostaggio
dei Repubblicani

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“Se si arrivasse al 2 agosto senza un accordo fra le parti per innalzare il tetto del debito e io fossi il presidente non esiterai ad farlo da solo”. Lo ha detto senza indugi Bill Clinton, commentando la follia del Congresso che, per la sconsiderata testardaggine dei Repubblicani, schiavi dell’ala destra del Tea Party e interessati esclusivamente a colpire Barack Obama, non ha ancora trovato un’intesa per innalzare il tetto del debito, evitando al paese una catastrofe economica senza precedenti.

A dare man forte all’affermazione di Bill Clinton è un passaggio del 14° emendamento in cui si afferma che la validità del debito pubblico non può essere messa in discussione. Come accadrebbe, appunto, con il temutissimo default che sembra drammaticamente sempre più vicino.

L’ultimo bilancio in pareggio del paese è stato quello della presidenza Clinton. In otto anni di presidenza Bush e due guerre costosissime, un patrimonio immenso è stato sperperato senza che i Repubblicani battessero ciglio o si preoccupassero del destino dei propri connazionali.

Come non lo fanno ora. Disposti come sembrano essere a far precipitare il paese in una situazione inimmaginabile e dalle conseguenze devastanti, solo ed esclusivamente per colpire il presidente Obama. Non si spiegherebbe altrimenti come possa essere possibile aver detto di no a un accordo che prevedeva, di fianco ai dolorosissimi tagli ai ceti medio bassi, un aumento delle tasse per i super ricchi e una limitazione dei benefici fiscali per società che guadagnano cifre esorbitanti.

“Qualcuno deve spiegare al popolo americano perché quelli privilegiati come me non debbano fare qualche sacrificio in questa situazione”, ha detto Barack Obama in una conferenza stampa dopo che John Boehner, speaker della Camera, aveva improvvisamente lasciato il tavolo delle trattative. Tutti i sacrifici, enormi, secondo i Repubblicani devono ricadere solo ed esclusivamente sulle spalle dei ceti medio-bassi e, soprattutto, non devono intaccare il portafogli dei super miliardari.

E’ chiaro a tutti, e nessuno lo nasconde, che il loro obiettivo, anche a costo di gettare il paese nel baratro, è quello di colpire Barack Obama. Altrimenti, sul finire di una domenica convulsa di incontri, avrebbero già dato la loro disponibilità al nuovo piano presentato dai Democratici e che, come chiesto dai Repubblicani, non prevede aumenti di tasse. Nemmeno questo va più bene ora. Ora la posta è ancora più alta. Un accordo a medio termine e non a lungo termine, che costringa il presidente a riavviare le trattative, in condizioni simili, fra un anno, cioè in piena campagna elettorale.

Obama dice che i suoi legali gli hanno sconsigliato di fare ciò che Bill Clinton ha detto che avrebbe fatto. Forse è il caso che ci ripensino. Perché un presidente deve potersi prendere quelle responsabilità che un gruppo di politici, che ha dimenticato il rispetto dovuto al proprio Paese, ha deciso di rifiutare.

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