L’assalto alla Diaz,
una ferita aperta
Dieci anni fa, come inviata di Radio Popolare, ho seguito il G8 di Genova. La sera della “macelleria messicana” alla scuola Diaz ero lì. Il ricordo è incancellabile, la ferita indelebile.
Una pozza di sangue sul pavimento. Sangue dappertutto che rischiavo di toccare con i piedi appena coperti dai sandali. Le mani tra i capelli e un primo pensiero: è un incubo. Immediatamente ho registrato su un “minidisk” tutto quello che vedevo dentro la scuola oltre al sangue: sacchi a pelo e vestiti sparsi ovunque, computer rovesciati. Un ragazzo, credo tedesco, chiamava disperato la sua fidanzata. Invano. Era tra gli oltre 90 ospiti della Diaz che i poliziotti avevano picchiato e arrestato.
Erano le 22.30 circa quando mi arriva una telefonata. Qualcuno mi dice: attorno alla Diaz tira un’aria bruttissima, hanno già fermato molte persone nei ristoranti vicini. Con alcuni colleghi corriamo sul posto, i poliziotti avevano già fatto irruzione nella scuola e nel centro stampa del Genova socialforum che si trovava di fronte alla Diaz. In strada decine e decine di carabinieri con il casco, il viso coperto da un fazzoletto e in mano, pronto all’uso, manganello e scudo di plexiglass. Un elicottero volava basso, quasi sfiorava i tetti delle case.
Mai avrei immaginato che potesse accadere quello che ho visto con i miei occhi.
Tra spintoni, urla, intimidazioni, corsa a ostacoli fra le macchine, colpi di scudo dei carabinieri (nonostante la pettorina gialla fosforescente per la stampa), sono riuscita ad arrivare davanti al cancello della Diaz: lì c’erano le ambulanze. Ogni 5, 10 minuti uscivano ragazzi e ragazze in barella con la faccia, le braccia piene di sangue. Un pugno allo stomaco dopo l’altro. Quelli che uscivano sulle loro gambe venivano spintonati dai poliziotti dentro i cellulari e costretti a stare con le mani dietro la nuca.
In tanti, noi giornalisti, abbiamo cercato più volte di capire, senza riuscirci, chi stesse comandando quell’operazione violenta. Appena ti avvicinavi a un poliziotto in borghese o a un carabiniere venivi allontanato in malo modo. Erano tutti come impazziti. Si era anche sparsa la voce, credo ad arte, che fosse stato ucciso un agente davanti alla questura.
Mano a mano che passavano i minuti, lunghi come ore, i manifestanti che erano rimasti a Genova hanno cercato di raggiungere la Diaz, ma sono stati bloccati. Ci sono riusciti a cose fatte. Sono arrivati in corteo con le mani alzate.
Quando ripenso a quella notte, mi vengono in mente sempre due immagini: una macchia di sangue che scorreva su un calorifero e un’altra che scorreva su una delle pareti di una classe. Le teste di ragazzi o di ragazze sono state rotte anche così.