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Non tutte le onlus
sono uguali

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È difficile razionalizzare il significato delle cose nel “presente”, di solito prende valore guardandolo in prospettiva come “passato”.

Frequentando per lavoro una fiera di onlus, cinque anni fa mi capitò di essere invitato a seguire una conferenza. Parlavano alcuni funzionari che avevano avuto un particolare successo nel fund raising, cioè nella raccolta fondi e nella particolare cura nell’allevare i propri finanziatori.

Sono termini d’uso pressoché comune, ora, e la pronuncia in inglese conferisce come sempre all’attività un’aura di efficacia e necessità tali da chiudere la bocca a chi, come me, diffida delle etichette in lingua straniera.

Mi trovai di fronte a una cospicua platea di funzionari… (pardon) manager, che più o meno si conoscevano tutti e, nel loro giro, si percepiva una sorta di gerarchia prestabilita in base alla importanza dell’onlus d’appartenenza e dei relativi budget. Le persone esibivano un positivo ed energico iperattivismo che, si può ben comprendere, era il marchio stesso o, meglio, la maschera della loro professione.

Via via che gli interventi si succedevano, era evidente l’ammirazione che la platea provava nei confronti dei conferenzieri. Ognuno era teso nell’ascolto di interventi che trovavo invece noiosi. Tutti erano partecipi del successo dell’altro lodando questa o quella strategia e prorompendo in sinceri e sentiti applausi.

Fu verso la fine che salì sul palco una donna dall’accento brianzolo e dagli occhi chiari, compostissima nel suo tailleur executive, l’acconciatura impeccabile sopra una mimica inesistente. La relatrice, al contrario dei predecessori, cominciò con l’enunciare una serie di problemi incontrati nello svolgimento delle proprie mansioni, lamentò una crisi di vocazioni e la difficoltà a reperire materiale umano valido e già formato.

Sembrava un intervento privo di interesse. Poi finalmente la relatrice giunse al punto: autocelebrò il proprio risultato comunicando le cifre ottenute con le percentuali di crescita e le proiezioni future. Quindi rivelò il segreto del suo successo: in un’atmosfera di elettrica approvazione, la relatrice raccontò quanto fosse importante non fermarsi di fronte ad atteggiamenti o valutazioni moralistiche e snocciolò il percorso della sua esperienza. Consultando i tabulati dei degenti di un ospedale aveva potuto constatare come molti malati giunti alla fase terminale fossero pressoché soli e lei aveva colto un importante successo economico andando a convincerli a lasciare le proprie sostanze alla onlus quando fosse giunta l’ora.

Mentre scrosciava l’applauso dei suoi colleghi, mi sono chiesto come possa essere trascorrere la vita accanto a una donna capace di un simile ragionamento.

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