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Milano, anche l’associazione antiracket parte civile al maxiprocesso contro la ‘ndrangheta

Tano Grasso, fondatore dell'associazione, si è presentato alla seconda udienza di "Infinito" e ha presentato la richiesta, così come Regione Lombardia e diversi comuni lombardi. “Il nostro modello funziona a Palermo, a Catanzaro e a Napoli, a maggior ragione deve funzionare a Milano o a Varese”
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La lotta al pizzo sbarca in Lombardia. Tano Grasso, presidente onorario della Federazione nazionale associazioni antiracket, si è presentato stamattina alla seconda udienza del processo Infinito, scaturito dalla grande operazione contro la ‘ndrangheta del luglio scorso.

La federazione ha chiesto di costituirsi parte civile, così come hanno fatto diversi organismi pubblici e privati: la presidenza del Consiglio, i ministeri dell’Interno e della Difesa, il Commissario straordinario antiracket, la Regione Lombardia (dopo qualche polemica), la Regione Calabria, i Comuni di Pavia, Bollate e Desio (la prima delibera della nuova giunta di centrosinistra), l’associazione Sos Impresa, i curatori fallimentari della galassia Perego strade, l’imprenditore estorto Agostino Augusto, diventato collaboratore di giustizia dopo essere finito sul banco degli imputati nel processo “Bad Boys” a Busto Arsizio.

“Vogliamo coinvolgere la Lombardia nella nostra esperienza nata vent’anni fa a Capo D’Orlando e presente fino a oggi soltanto nel centrosud con settanta associazioni”, spiega Grasso a ilfattoquotidiano.it. La costituzione di parte civile vuol essere un messaggio agli imprenditori del Nord, “per far capire loro che la difesa delle attività economiche dagli attacchi della criminalità non può essere delegata soltanto alla polizia e alla magistratura”.

Gli investigatori antimafia, Ilda Boccassini in testa, lamentano ripetutamente l’omertà diffusa tra gli operatori economici lombardi, dettata a volte dalla convenienza ma spesso anche dalla paura: “Il nostro modello funziona a Palermo, a Catanzaro e a Napoli, a maggior ragione deve funzionare a Milano o a Varese”, continua Grasso. “Facciamo in modo che l’imprenditore non si senta solo nella scelta di denunciare il pizzo e l’usura, grazie all’associazione antiracket che media tra lui e le forze dell’ordine”.

Ieri mattina Grasso era a Reggio Calabria per costituire la Federazione parte civile anche al processo “gemello” originato dall’operazione di luglio. Ma al nord il fenomeno assume una forma diversa: “A Palermo la mafia non pratica l’usura, mentre qui in Lombardia le inchieste ci dicono che la ‘ndrangheta la utilizza per impossessarsi delle imprese, cosa che le interessa più del profitto immediato. Così si formano dei veri e propri monopoli criminali nell’economia lecita, per esempio nel movimento terra”.

Anche il meccanismo delle estorsioni si è adattato alla differente realtà del Nord. “In Sicilia o in Calabria il pizzo è orizzontale, nel senso che funziona per zone dove la quasi totalità degli imprenditori e dei commercianti è costretta a pagare. In Lombardia, invece, è verticale: non per territorio, ma per settore economico. La ‘ndrangheta aggredisce intere filiere, per esempio l’edilizia o i locali notturni, a volte con la richiesta di soldi, ma più spesso imponendo a tutti i propri fornitori”.

Grazie alle associazioni antiracket, afferma Grasso, le ragioni dell’omertà si indeboliscono: “Con la nostra iniziativa, pienamente appoggiata da Confindustria e dal presidente Emma Marcegaglia, togliamo alibi agli imprenditori. La nostra esperienza insegna che si può denunciare l’usura e l’estorsione senza subire alcuna ritorsione”.

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