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L’annozero di una nuova stagione

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Alla fine è successo: Santoro sloggia dalla Rai. Niente più Annozero. Quando l’ho saputo m’è cascata la sigaretta dalla bocca. E considerate che io non fumo da vent’anni, perciò non è che l’abbia raccolta. Mi sono subito girato verso la mia compagna: ci siamo guardati ed è stato come se la mia espressione impallidita si fosse rispecchiata nella sua. Ma considerate che la mia compagna ha fatto le valigie mesi fa, non la vedo e non la sento da diverse settimane, perciò non è che le abbia detto qualcosa. Ho ripreso invece a guardare lo schermo e sono rimasto lì, da solo, gli occhi sgranati e la mascella pendente, a ripetermi che è proprio così: Annozero è stato cancellato. Una botta micidiale. Ma perché?

Quando nel 2002 avevano chiuso Sciuscià licenziando Santoro (insieme a Biagi e Luttazzi), sì, m’ero indignato, arrabbiato, disgustato e tutto quanto: l’avevo presa proprio male. Ma non così male. Eppure all’epoca, a ripensarci, fu tutto molto peggio. Berlusconi si godeva l’apice della sua potenza politica e Biagi, Santoro e Luttazzi furono cacciati brutalmente con un insopportabile atto d’arroganza autoritaria e fascistoide.

Oggi invece il premier perde colpi e su Santoro ci raccontano di un “divorzio consensuale”. O perlomeno tanto consensuale quanto quello di un dipendente mobbizzato da tre anni. Comunque sia, non siamo di fronte a una vera e propria cacciata. Santoro, se avesse voluto, coi numeri che ha (suoi personali e del programma come share) avrebbe probabilmente potuto continuare a combattere (e tribolare) per spuntarla una stagione ancora e forse un’altra e poi magari, chissà, passavamo la nottata.

Ma non se l’è sentita. Non è che il personaggio difetti di carattere e combattività, però avrà pensato che puoi essere tenace quanto ti pare, ma a nuotare troppi anni controcorrente come un salmone rischi di finire salmonato. Cotto e cucinato a dovere, insomma. Ci ho pensato su e non me la sono proprio sentita di dargli torto.

Così ho capito che cos’è che me la fa prendere tanto male (nonostante sia abbastanza chiaro che la trasmissione traslocherà in blocco su La7). È la stanchezza. Dentro a questa cosa sento il peso di una stanchezza. Quella che deriva dall’aver faticato, ok, ma anche dal tempo che è passato, da una stagione ormai logora che ci ha logorato e che finalmente si sta per chiudere, per sempre, come una bara, e alcune cose, anche tue, ce le devi lasciare, non ci stanno santi, le devi lasciare là dentro e amen.

Saremo in diversi milioni a lasciarci dentro i giovedì sera passati davanti alla tv a seguire Santoro, Travaglio, Ruotolo, Formigli, Vauro e gli altri. Certo, li rivedremo. La trasmissione ricomincerà su un’altra emittente, magari con un altro nome: ma che importa: la sostanza, diranno, non cambia. Ma la sostanza cambia sempre. Sarà una stagione nuova, forse più libera, capace perfino di riscattare l’immagine della tv commerciale e di cambiare i rapporti di forza tra le emittenti private. Ma li guarderò e mi sembreranno invecchiati, perché la loro giovinezza consisteva nel risalire il fiume controcorrente in un’altra stagione della nostra vita. E davanti alla tv, nell’osservarli e ascoltarli, so già che in quella loro orgogliosa e irrevocabile vecchiezza vedrò all’improvviso rispecchiarsi, para para, quella mia.

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