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Le due giornate di Milano

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Lo scrivente (ah, che bell’incipit ottocentesco e burocratico) sta picchiettando sulla tastiera del computer con una mano sola. L’altra è impegnata a tenere saldamente una barretta di ferro che depositerà solo dopo il 29 maggio. Nel ferro si sentono passare vibrazioni: sono tutti i tentativi leciti e illeciti che i berlusconiani stanno studiando e sperimentando per poter distruggere, in soli 15 giorni, la reputazione e le fortune di Giuliano Pisapia.

Mentre i complotti si scaricano a terra, c’è tempo per una riflessione: hanno perduto gli estremisti, hanno vinto i moderati. Risentiamo le invettive di Berlusconi contro i magistrati, i suoi comizi sovversivi, l’anticomunismo da cabaret, le barzellette sconce che non farebbero ridere neanche Strauss Khan in astinenza. Rivediamo la Santanché, scarmigliata pasionaria dei luoghi comuni, tricoteuse con i Ray Ban, l’aizzatrice squinternata della Moratti, con la cultura politica di un citofono. Ci riappare mister Lassini, il parvenu del manifesto rivoluzionario, con nevrosi da falangista senza guerra civile. Rileggiamo i fondi incendiari di Sallusti e i “vingeremo” del coordinatore La Russa. Un fronte tempestoso, provocatorio, convinto che deus vult e il resto non conta (ma con la cavalleria leghista asserragliata e lontana: brutto segno), all’assalto sconsiderato dei veri moderati e del mite Pisapia. I milanesi non saccheggiano i mulini a vento. E Milano, nonostante tutti i tentativi di stupro cui è sottoposta da più di trent’anni, è ancora la casa di gente seria.

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