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Partigiani e Salò,
le storie di ieri

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L’ho sentito troppo spesso per stupirmi ancora: erano solo dalla parte sbagliata. Come se si trattasse di una opinione, un accidente: come se quella scelta, di là o di qua, fosse un argomento secondario. Come se non fosse, quella scelta, fondamentale per il giudizio storico. Un dettaglio. Capita. Si è cercato di equiparare una parte e l’altra, di unire, nella stessa commemorazione, chi lottava per la libertà e chi per l’oppressione.

La Repubblica di Salò non era il primo fascismo che qualche incauto revisionista giudica positivo. La Repubblica di Salò era solo l’ultimo atto di pochi disperati di quel regime, che tentavano, al prezzo di una guerra civile, di rovesciare il tavolo della Storia. È a questi che dovremmo tributare lo stesso sentito ringraziamento che tributiamo a coloro che per la libertà, non per la dittatura, versarono il sangue? Un’ipocrita quanto inquietante conciliazione post mortem da concedere ai repubblichini solo perché oggi esiste una maggioranza in Parlamento che somiglia pericolosamente, negli uomini e nel populismo, a quel regime che essi sostenevano.

No. I partigiani erano diversi dai repubblichini. Nel giorno in cui si ricorda la liberazione di Genova, Torino e Milano dal nazifascismo ad opera dei partigiani (e dovremmo ricordarlo a certi politicanti che il 25 aprile ricordano solo gli Alleati) non possiamo sopportare che anche i membri dell’ultimo baluardo fascista siano ricordati come bravi ragazzi, cittadini valorosi, che avevano semplicemente scelto la parte sbagliata.

Alla fine, però, noi la pietas non la neghiamo neppure a loro. Ma in quanto sentimento umano, verso chi è morto. Anche se, a giudicare dal trattamento e dal linciaggio riservato a certe persone, da Enzo Baldoni a Vittorio Arrigoni, ogni tanto verrebbe da comportarci come loro e negare anche quel sentimento a metà tra la pietà e il rispetto che spetta a tutti gli umani. Ma noi, anche in questo, siamo diversi. Perché, in fondo, noi restiamo umani. O, almeno, ci proviamo.




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