Mercoledì il Senato ha deciso: le centrali nucleari, almeno per ora, non si faranno. Lo stop è stato votato ufficialmente “al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche” sui “profili relativi alla sicurezza nucleare”. Ma quanto durerà l’acquisizione delle “evidenze”? Per ora non è dato saperlo. “Nei prossimi anni, se le evenienze scientifiche daranno delle garanzie maggiori, si potrà riprendere il programma nucleare”, ha dichiarato ieri il sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia. Quanti anni passeranno? E soprattutto: nel frattempo saranno adottate strategie alternative?

La risposta a quest’ultima domanda l’ha data lo stesso Saglia in un’intervista pubblicata dal quotidiano La Stampa: al centro della politica energetica tornerà il gas. Quello che importiamo da Algeria (34,44% del totale), Russia (29,85%) e Libia (12,49%) e che già oggi copre oltre il 50% del fabbisogno nazionale. Nessuna novità, quindi. E nessuna idea per una chiara politica energetica nazionale. Mentre la maggior parte dei paesi europei si interroga sul dopo Fukushima e le prime pagine dei giornali stranieri sono tutto un fiorire di ipotesi e dibattiti su rinnovabili, sequestro del carbonio, rigassificatori e gas di scisti, nel nostro paese il silenzio è assordante. “Ciò che è accaduto in Giappone ha spinto molti governi a riconsiderare le politiche energetiche nazionali”, ha scritto a fine marzo il Financial Times. “Ma in Italia la paralisi politica e l’incompetenza stanno avendo la meglio e la coalizione di governo è bloccata tra indagini sulla corruzione, presunti scandali sessuali e conflitti interni”. In poche parole, mentre siamo fermi a discutere di processi, leggi per evitarli, manifesti elettorali e sabotaggi referendari, i nostri vicini di casa si rimboccano le maniche e iniziano a mettere nero su bianco nuove proposte per la transizione post-nucleare.

A cominciare dalla Germania, dove era dal 1989 che sui media non si usava così spesso la parola Wende. Letteralmente significa “svolta”, come quella, epocale, che più di vent’anni fa portò alla riunificazione dell’ex Ddr con la Repubblica Federale Tedesca. Oggi il governo Merkel parla invece chiaramente di Energiewende: la svolta energetica che, con l’approvazione di un pacchetto legislativo a metà giugno, dovrebbe portare la Germania fuori dal nucleare per investire nel rinnovo delle reti elettriche, nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica. “Noi tutti vogliamo uscire al più presto possibile dal nucleare per puntare all’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili”, ha dichiarato il cancelliere Angela Merkel. La Germania, che già oggi produce il 17% dell’energia da eolico, solare, idroelettrico e biomasse, vuole arrivare al 50% di energia verde entro il 2030.

Anche in Francia, dove il consenso politico sul nucleare è sempre stato granitico e trasversale, il dibattito si è infiammato dopo Fukushima. Nel loro programma elettorale per le presidenziali del 2012 i socialisti del Ps chiedono di uscire dalla “doppia dipendenza nucleare-petrolio”, riducendo gradualmente il peso dell’atomo sul mix energetico nazionale (oggi pari al 75% del totale). Il Ps lancia la sfida per il 2012 con l’impegno di organizzare un dibattito nazionale sulla transizione energetica. “Il nostro obiettivo è quello di garantire a medio e lungo termine l’indipendenza energetica della Francia”, si legge nel programma. “Né le energie fossili né il nucleare (che si basa sullo sfruttamento dell’uranio, una risorsa finita e interamente importata dall’estero) potranno farci raggiungere questo scopo. Per questo il partito socialista preparerà un piano di investimenti massicci a favore delle energie rinnovabili, oggi marginali nel mix francese”.

Intanto il dibattito si è aperto anche in Svizzera, l’altro paese nuclearizzato ai nostri confini con il 35% del fabbisogno energetico coperto da cinque reattori. Già il 23 marzo il Datec (Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni) ha sospeso il programma per la sostituzione di tre centrali e, su incarico del Consiglio Federale, ha iniziato a mettere a punto “piani d’azione e provvedimenti” per aggiornare le “prospettive energetiche” sulla base di tre possibili scenari, che saranno sottoposti al dibattito parlamentare in giugno: sostituzione anticipata delle tre centrali più vecchie, dismissione delle tre centrali alla fine del loro ciclo di vita o abbandono anticipato del nucleare.

In Italia, invece, si continua a navigare a vista. E mentre Saglia dichiara con soddisfazione che l’emendamento “blocca nucleare” approvato mercoledì in Senato, “contiene l’impegno a varare la strategia energetica nazionale entro 12 mesi”, il sottosegretario allo Sviluppo Economico fa sapere che l’Agenzia per la sicurezza nucleare, presieduta dal prof. Umberto Veronesi, non sarà smantellata. Anzi, “deve assolutamente implementarsi”. Sempre che riesca finalmente a trovare una sede. Le riunioni, come dichiarato di recente dallo stesso Veronesi, sono spesso convocate “attorno al tavolo di un bar”.

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